Cerca nel blog

mercoledì 7 settembre 2016

Moloch – Verwüstung

# PER CHI AMA: Black/Ambient/Dark, Abigor, Beherit
Il black metal offre in termini stilistici numerosi spunti creativi a discapito della sua fama di musica chiusa, statica e ripetitiva e Moloch ne è un buon esempio. Il connubio di arte estrema, espressa a suon di ambient, dark e black metal di carattere teutonico, emotivo, drammatico, ricco di venature strazianti ed interpretazioni vocali lancinanti inclini a seviziare la voce di un'anima perduta, devota alla solitudine, al nichilismo totale nei confronti di un mondo in caduta libera, genera sempre un certo effetto a sorpresa. La one man band ucraina ha sfornato una miriade di creazioni e collaborazioni anche importanti dalla sua fondazione (2004) ad oggi e l'album in questione datato 2014, e distribuito dalla Metallic Media, spinge ulteriormente la fase creativa della band verso un suono ancor più rigido, glaciale, ferreo e di confine. Tramutando il malessere esistenziale in conflitto contro il mondo insano in cui si è destinati a sopravvivere, Moloch (Sergiy Fjordsson aiutato alla batteria dal prestigioso Gionata Potenti, già al lavoro con numerose band tra cui Blut Aus Nord e Deathrow), esaspera ed esalta il tipico sound black in forma compatta e nevrotica, esuberante nei sui ritmi serrati e sinistri, carichi di disperazione e dall'umore macabro. Riff taglienti e gravidi di ossessione, calati in atmosfere cupe e malate. Le composizioni sono frastagliate, oserei dire primordiali, anche nella produzione, a volte grezze e rudi, sempre pronte a rimarcare la linea continuativa che le legano con il passato e le origini di questo genere musicale estremo. All'interno dei brani troveremo aperture decadenti e buie, ritmiche martellanti di batteria ad incalzare un cantato tetro e teatrale, instancabile nella sua ricerca della perfetta melodia del dolore. Il suono non evoca particolari virtuosismi ma è costante la presenza di una certa maestria nello stendere composizioni sotterranee, dall'odore acre e dal sentore paludoso e di perdizione. Una collaudata e singolare tecnica compositiva, selvaggia e radicale, cosparsa e disseminata nell'intero album che lo rende omogeneo ed ipnotico, qualità che brano dopo brano diventerà sempre più presente e notevole. In perfetta comunione tra loro, troviamo musica e artwork di copertina, con un lavoro grafico criptico e raggelante, sostenuto anche da una colossale durata del cd di quasi ottanta minuti. Lontano dalle luci della ribalta e legato nel sangue da una corrente espressiva sotterranea e violenta, Moloch incalza con la sua opera l'arte di band ai margini come Centuries of Deception, Abigor, Inquisition e Beherith, con un sound difficile da assimilare e descrivere, ma per chi saprà captarne la profondità d'intenti si aprirà un vaso di Pandora che può condurre nei meandri più bui della nostra esistenza. Aperto da un intro ambient nero come la pece ("Todestille"), il disco esplode nel suo interno con tutta la sua perversa spigolosità, senza dare tregua per tutta la sua durata, depressivo e riflessivo in totale opposizione al concetto di mainstream. "Du Bist Nichts in Dieser Sterbenden Welt ", condotta da un intro di basso distorto, offre la prima tregua dopo sei brani devastanti per approdare alla titletrack, "Verwüstung" che, con tutta la sua rarefatta onnipotenza, mostra una lunga coda rivolta ad un'ecatombe del genere umano, la sua scomparsa osannata a suon di drone music, dark, ambient e sfuggenti tocchi di piano e rumori silenziosi, bui, in assenza totale di ritmo per ben undici minuti. La chiusura è affidata inaspettatamente ad una traccia nascosta ("A Symphony" by Chopin) con la sua prima ventina di minuti passata nel totale silenzio sonoro per poi aprirsi ad una sinfonia classica orchestrale, presumo un omaggio all'autore (perdonate la mia lacuna in ambito classico). Un album definitivo, l'oscurità in piena regola. Disco da avere. (Bob Stoner)

(Human to Dust/Metallic Media - 2014)
Voto: 85

https://molochukr.bandcamp.com/album/verw-stung-2

martedì 6 settembre 2016

Ingrain - Aembers

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze, Alcest, Autumn for a Crippled Children
'Aembers' è l'EP d'esordio degli israeliani Ingrain. Il disco, uscito a giugno di quest'anno per le Pest Productions, consta di sei tracce, di cui le prime cinque registrate addirittura nel 2013, mentre la sesta, la scorsa estate, quando il lavoro uscì originariamente in digitale. Poi l'attenzione della label di Nanchang e finalmente l'approdo sul mercato con un formato fisico e un sound per certi versi ambizioso, capace di coniugare il black metal con un approccio a tratti acustico e atmosferico, sicuramente melodico e dal forte impatto emozionale, come testimoniato dalla track in apertura, "Bramm". Forti del supporto alla consolle di Dan Swano, il terzetto di Gerusalemme colpisce per quei suoi arpeggi di chitarra che si insinuano in una matrice estrema che corre a cavallo tra death e black, anche se in quei momenti più rilassati e scevri da galoppate condite da blast beat e tremebonde vocals, la proposta dei nostri sembra virare ad un versante più orientato all'hard rock, rendendo il tutto pertanto più accessibile. Lo dimostra l'attacco di "Firmament", song dotata di un'aura decisamente malinconica, che conquista per la sua vena squisitamente blackgaze, che può scomodare più di un paragone con Agalloch e Alcest; poi quel suo assolo finale su di una ritmica post black, è davvero splendido, tanto che da solo vale il costo del cd. Il tremolo picking è un'altra delle caratteristiche vincenti dei nostri, che hanno davvero tutte le carte in regola per sfondare con la loro proposta e un'ispirazione che ne esalta le doti tecnico compositive. Spettacolare il break di "To See", forse la song più matura di un lotto di brani davvero notevole e considerato che stiamo parlando di musica scritta tre anni fa, mi aspetto davvero grandi cose dal futuro degli Ingrain. "Voidd" è forse un primo assaggio di quello che verrà, otto minuti e mezzo che strizzano l'occhiolino anche agli Autumn for a Crippled Children (oltreché agli Alcest) e che confermano le potenzialità di questo brillante e inedito trio proveniente da Israele. Ben fatto! (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2016)
Voto: 80

https://pestproductions.bandcamp.com/album/aembers

I-Def-I - In the Light of a New Day

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Emocore, Breed 77
Dopo il Mcd 'Bloodlust Casualty' del 2005, ritornano gli inglesi I-Def-I con il full length di debutto e un risultato che definirei soddisfacente. Dopo un anno di lavoro, partecipazioni a compilation, apparizioni a festival, e su diversi magazine internazionali, la band di Manchester centra l’obiettivo al primo colpo, con un album vario che potrà piacere ad una vasta schiera di heavy metal fans: dai seguaci del movimento metalcore agli amanti del thrash, passando attraverso gli ascoltatori più incalliti dell’emocore, ma più in generale a chiunque mostri una mentalità aperta. Il quartetto inglese scalda gli animi con 15 songs davvero buone (ma forse un po' troppe) che si barcamenano all’interno di sonorità alternative, premendo saltuariamente il piede sull’acceleratore e sfociando raramente, in territori swedish death o in altri momenti, in territori più metalcore. I ragazzi sono bravi a mixare riffs di chitarra, talvolta pesanti, a melodici break. Questo è metal moderno, anche se, in taluni casi, il rifferama può risultare preso in prestito dai Pantera (come si evince nei primi pezzi), mentre il modo di cantare di Chris Maher, può ricordare un ibrido tra il Mike Patton ai tempi dei Faith No More e il vocalist dei Linkin’ Park, per l’uso un po’ rappato della sua voce. La traccia “Tunnel Rat” ospita addirittura un assolo del buon vecchio Slash dei Guns’n Roses, un po’ arrugginito ma che si conferma essere sempre un musicista di gran classe. La proposta della band albionica è decisamente attuale, i ragazzi mostrano un grande potenziale, ahimè poi rimasto tale, visto lo scioglimento nell'anno successivo. Meteore! (Francesco Scarci)

domenica 4 settembre 2016

Electric Beans - Sans Modération

#PER CHI AMA: Punk Rock
Avete presente quel vostro compagno di classe alle scuole superiori - tutti ne avranno avuto uno – un po’ basso e tarchiatello, che portava sempre il cappellino da baseball, che non eccelleva in nessuna materia ma stava simpatico a tutti, professori inclusi? Quello che leggeva tutti quei fumetti introvabili, che ascoltava solo punk rock, tutto il giorno, che non fumava ma aveva sempre una lattina di birra da 50 cc nello zaino e che avete sentito almeno una volta parlare di voi come “il suo amico” nonostante voi non lo avreste mai definito tale, sicuramente non in pubblico? Quello a cui non potreste mai, per nessuna ragione, augurare alcun male. Ecco, gli Electric Beans sono quel vostro compagno lì. Sono dei simpatici cazzoni francesi che suonano un punk rock senza infamia e senza lode, dritto e senza fronzoli, né selvaggio, né particolarmente veloce, ma sincero, quello si. Senza maschere. Questo loro 'Sans Modération' (la cover cd sembra un tributo alla birra Ceres) è un disco generoso, live, di quasi settanta minuti in cui si trova tutto quello che c’è da sapere su di loro. La conoscenza della lingua francese potrebbe essere d’aiuto per godere appieno della loro musica ma soprattutto dei loro testi, musica che rimane comunque sufficientemente apprezzabile anche in caso contrario. Convengo con voi che esistano mille modi migliori per trascorrere settanta minuti del vostro tempo, ma a uno che vi considera sinceramente come un vostro amico, un ascolto glielo dovete, come minimo. (Mauro Catena)

(Mogettes Prod - 2016)
Voto: 65

https://electricbeans.bandcamp.com/releases

sabato 3 settembre 2016

Bear Bone Company - S/t

#PER CHI AMA: Hard Rock, Black Label Society
I Bear Bone Company (BBC) sono un power trio svedese formatosi quattro anni fa e solo l'anno scorso si sono lanciati nel vasto mondo discografico con questo Self titled album. I tre ragazzotti non hanno più vent'anni e la loro maturità musicale si sente tutta, un concentrato di rock duro e crudo, sanguigno e immediato, come si faceva un tempo. Le dodici tracce sono ben bilanciate, arrangiate con cura e potenti come ci si aspetta da questo genere, basti ascoltare la opening track "Fade". È una cavalcata veloce e cadenzata, con riff classici che ci portano indietro di quindici-vent'anni e fanno l'occhiolino ai Black Label Society e company. Il vocalist si fa notare sin da subito per la sua ottima estensione vocale, lanciandosi in acuti che farebbero impallidire una vocalist femminile. Alcune influenze grunge portano a galla i gusti retrò della band, come in "Kiss N Tell" che sulla falsariga degli Alice in Chains o STP, si sviluppa in aree più heavy. Il chitarrista (nonché cantante) mette in piazza i suoi studi, con accelerazioni e rallentamenti, il tutto condito da un bell'assolo che scalda le corde fino a farle divenire incandescenti. La band si cimenta anche in brani più lenti, "Down in Flames", trovandosi a proprio agio, anche se gli arrangiamenti avrebbero voluto qualcosa di meno scontato. Per fortuna l'enseble di Örebro non hanno voluto opprimerci con la solita ballata che spesso le band includono per accontentare tutti, quindi rendiamo grazie al trio svedese. Traccia dopo traccia, tutto scorre fluido, forse troppo, nel senso che nonostante il livello generale sia più che buono, si rischia di cadere in uno stato catatonico per una certa mancanza di stimoli. Questo rischio aumenta se non amate il genere, oppure se lo avete lasciato da parte da un po'. L'esordio dei BBC è buono ed essendo una band matura non aspettiamoci evoluzioni particolari, ma facciamo tesoro del buon rock che questo trio scandinavo può regalare ora ed in futuro. (Michele Montanari)

(Sliptrick Records - 2015)
Voto: 65

Spectrale/Heir/In Cauda Venenum - Split Cd

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Agosto 2016, Francia, manco a farlo apposta. Tre manifestazioni musicali completamente differenti che si palesano nello split album edito dalla Emanations Productions, la divisione ancor più "underground" della Les Acteurs de l'Ombre Productions. La prima, gli Spectrale, side project di Jeff Grimal (chitarra e voce dei The Great Old Ones, qui supportato da Jean-Baptiste Poujol), autori qui di tre pezzi, l'opener "Sagittarius A", "Al Ashfar" e "Crepuscule", sorte di eterei intermezzi ambient, coadiuvati da una spettacolare chitarra acustica in un ipnotico trip strumentale. I secondi, i black thrasher Heir, anch'essi autori di tre pezzi, "Descent", "Upon the Masses" e la conclusiva "Sectarism", in una proposta oscura, malata e mefitica, grazie a quella commistione di black, sludge e thrash, carico pure di una certa dissonanza a livello delle linee di chitarra, che talvolta si lanciano in galoppate dal vago sapore punkeggiante che rendono la proposta del combo di Tolosa, variopinta, muovendosi in tetri meandri della musica estrema, non disdegnando pure tenue parti atmosferiche come nei quasi dieci minuti di "Upon the Masses" o nell'ultima traccia, in cui il quintetto transalpino la alterna ad un furioso e malinconico black metal, grazie a l'utilizzo delle chitarre in tremolo picking. Ho tenuto l'analisi degli In Cauda Venenum in ultima istanza perché oltre a palesarsi per terzi, e probabilmente essere i più talentuosi del trio di gruppi, si sono rivelati anche i più originali, proponendo qui un'unica song, “Laura Palmer, Agonie à Twin Peaks”, una lunga traccia di oltre 14 minuti che ci riconsegna quel mood noir surreale tipico della serie di David Lynch. Cosi, lungo l'evolversi del brano, il terzetto di Lione, arricchitosi peraltro di un violoncellista, ha modo di proporre il tema del film (scritto dal compositore italo-americano Angelo Badalamenti), rivisto e offerto in un contesto che abbina black metal, orchestrazioni da paura, atmosfere horror. Una vera gemma post black, che a mio avviso rende questo split album davvero interessante. Non me ne vogliano le altre due band, ma avevo già citato gli In Cauda Venenum, al tempo della recensione del loro debut album, come potenziale crack futuro e qui ne ho avuto la conferma. (Francesco Scarci)

(Emanations Productions - 2016)
Voto: 75

Summer Contest


Ecco i vincitori del Summer Contest che metteva in palio il nuovo Split Album di In Cauda Venenum, Heir e Spectrale, oltre a 3 copie della Compilation della Les Acteurs de l'Ombre Productions.

La risposta al quesito era: Francia

I vincitori:

Federico B. - Colle Val d'Elsa (SI)
Lorenzo D. - Magione frazione San Savino (PG)
Francesco S. - Taranto
Cristina E. - Milazzo (ME)


_________________________

Here the winners of the Summer Contest that offered the chance to win a copy of the Split Album by In Cauda Venenum, Heir e Spectrale and 3 Compilations made by Les Acteurs de l'Ombre Productions

The right answer was: France

The winners:

Federico B. - Colle Val d'Elsa (SI)
Lorenzo D. - Magione frazione San Savino (PG)
Francesco S. - Taranto
Cristina E. - Milazzo (ME)

mercoledì 31 agosto 2016

Spectral Mortuary - From Hate Incarnated

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse, Morbid Angel
Continua la riscoperta di vecchi album da parte del Pozzo dei Dannati che quest'oggi ci porta in Danimarca e all'anno 2007, quando esordì un nuovo combo atto a devastare il mondo: costituito da membri dei grinders Exmortem e da altri musicisti della scena estrema scandinava, gli Spectral Mortuary rilasciano il loro debut album, 'From Hate Incarnated'. Il lavoro si presenta come il classico disco death metal che tanto andava in voga a metà anni ’90, senza nulla aggiungere e nulla togliere a questo genere. Un onesto platter di musica incendiaria, caratterizzata da ritmiche possenti e una batteria precisa e veloce. Demoniache growling vocals e qualche buon assolo (registrato, ahimè ad un volume più basso), completano il quadro di questa brutal death old-school band danese. Che altro dire a riguardo di un album, che ha il solo pregio di far male e non regalare nulla di nuovo, ad una scena che più volte ho sottolineato puzzare di stantio? Di sicuro non troverete un attimo di tregua dall’inizio alla fine dell’album, non un respiro concesso, perché l’intensa furia distruttiva del quintetto scandinavo, sovrasta tutto ciò incontri sulla sua strada. L'ispirazione? Ovviamente quella trainante dei mostri sacri americani, Morbid Angel e Cannibal Corpse in primis, che sfocia di sovente in sfuriate grind, per poi rientrare in binari più canonici. Decisamente un disco indicato solo per gli amanti del death metal nato al sole della Florida. (Francesco Scarci)

(Mighty Music - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/spectralmortuary

Bone Man – Shapeshifter

#PER CHI AMA: Psych Stoner/Grunge
Album uscito ormai quasi da un anno, questo dei Bone Man, trio basato a Kiel nel nord della Germania, ma di cui sarebbe davvero un peccato non parlare. Si tratta infatti di un lavoro oltremodo affascinante, che prende le mosse da un hard-psych influenzato tanto dallo stoner dei Kyuss quanto dal grunge di Seattle, nel quale si respira un ché di viscerale, una rabbia ancestrale che sembra affondare le proprie radici in oscuri culti nordici e che riesce a conferire al disco una magia tutta particolare. È una musica tutto sommato semplice, quella dei Bone Man, in cui gli ingredienti sono pochi, ben riconoscibili ma dosati sapientemente. Le chitarre macinano riff oscuri e si lasciano trasportare spesso da impeti psichedelici che rimandano sovente agli Screaming Trees, la ritmica è tonante e precisa e la voce davvero bella e affascinante, dotata di una pasta grumosa, un timbro cavernoso e potente che ricorda in qualche modo Glenn Danzig. Quello che fa la differenza, come sempre succede, sono le canzoni. E qui ce ne sono di davvero belle e memorabili. La tripletta iniziale, per esempio, è fenomenale: la title track e "Bad Fashion" sono ottimi esempi di quell’effetto selvaggio e soprannaturale che i tre riescono a conferire ad un genere che non avrebbe più niente di nuovo da dire. Allo stesso modo "The Wicker Man" è un trascinante capolavoro che riesce a porsi al di fuori dal tempo e ricorda in qualche modo i canti dei pirati del settecento. Il resto del programma non delude e riesce a mantenersi su livelli di eccellenza pressoché costanti fino alla fine. Una splendida sorpresa, un disco dalla bellezza solenne e selvaggia da ascoltare a ripetizione e custodire gelosamente, in attesa di un seguito che, stando ai rumors, non dovrebbe farsi attendere molto a lungo. (Mauro Catena)

(Pink Tank Records - 2015)
Voto: 75

https://bonemankiel.bandcamp.com/album/shapeshifter

Faun - Totem

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Neofolk, Medieval, Orplid
A distanza di un paio d’anni dal precedente lavoro, 'Renaissance' (datato 2005), tornò in pista il quintetto teutonico dei Faun, con un nuovo affascinante album. Dopo una lunga intro di quasi quattro minuti, inizia un viaggio nel loro mondo ancestrale. 'Totem' è suddiviso virtualmente in tre capitoli: la prima parte viaggia su binari dark gothic, con le voci di Lisa e Fiona sempre in risalto e l’intrigante uso di strumenti folkloristici, come il bouzouki irlandese, l’arpa celtica, il didgeridoo e l’hurdy-gurdy, che conferiscono al sound dei nostri, le emozioni tipiche della musica classica, per la sua capacità di essere senza tempo. Si tratta di composizioni vellutate, estremamente rilassanti, che ci riportano con la mente a paesaggi incantati, con quell’uso delle chitarre acustiche che tracciano dolci linee melodiche e angeliche vocals femminile che declamano splendide poesie. Ciò che mi fa storcere il naso è come sempre il cantato maschile di Oliver Sa Tyr in lingua tedesca, e quella sua incapacità di fondo di risultare melodica. La parte centrale del disco è invece orientata a sonorità medievali: sembra di essere scaraventati indietro nel tempo di quasi mille anni nella lande scozzesi che hanno ospitato il film 'Braveheart', grazie all’utilizzo di strumenti “vetusti” quali mandolino, flauti, percussioni e cornamusa. La terza parte del cd infine, torna a ricalcare il sound posto in apertura di questo lavoro, con ambientazioni più oscure e ipnotiche, fatte di atmosfere evocanti antichi riti pagani ed una certa spiritualità che mostra la connessione dei nostri con la natura. 'Totem' non è certo un disco di facile approccio, ma se siete alla ricerca di musica di sicuro non banale, la proposta dei Faun, potrebbe sicuramente fare al caso vostro. (Francesco Scarci)

(Curzweyhl/Rough Trade - 2007)
Voto: 70

http://www.faune.de/faun/pages/start_en.html

martedì 30 agosto 2016

The Last Days of Jesus - Dead Machines’ Revolution

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Punk/Dark/Rock, Misfits, Devo
E questi da dove diavolo sbucano fuori? Partendo da un monicker non certo esaltante, questi The Last Days of Jesus mostrano cattivo gusto anche per ciò che riguarda la cover del cd, quanto mai orribile. E la musica? Beh, ho dovuto ascoltare e riascoltare un sacco di volte questo disco (addirittura il quinto e per fortuna l'ultimo della loro discografia, ma uno nuovo è in lavorazione), per capire se potevo salvare qualcosa e per comprendere anche in quale filone inserire questi pazzi slovacchi. Dopo svariati ascolti, faccio ancora fatica ad intendere e digerire il sound di questo quartetto, che dice di suonare un deathrock, ma di death e rock qui ce n’è gran poco. Mi sembra, più che altro, che ci sia una forte componente elettro-gothic di stampo teutonico, sulla quale i quattro psicopatici, inseriscono diversi elementi presi dal punk (Misfits), dalla musica dark (primi The Cure) e gotica, arrivando a creare un qualcosa da loro definito come neo-batcave-postpunk-goth-agrhlszjf (e non mi chiedete cosa vuol dire quest’ultima definizione). A me sinceramente pare che la release della band di Bratislava sia una presa per il culo per gli ascoltatori pertanto non mi sento assolutamente di consigliare questo bizzarro lavoro, che ha il solo pregio di essere altamente ironico e di saper creare delle atmosfere dannatamente noir. La band probabilmente da cui traggono ispirazione è quella degli americani Devo, che negli anni ’80 univano il punk rock al synth-pop: qui troviamo infatti strane sperimentazioni che disorientano non poco, ma dire che la musica di 'Dead Machines’ Revolution' sia piacevole, mi sembra pura follia. Se pensate che la vostra mente sia abbastanza aperta, potreste fare un tentativo e dargli un ascolto, verrete catapultati in una granguignolesca dimensione parallela. (Francesco Scarci)

(Strobelight Records - 2007)
Voto: 55

http://www.thelastdaysofjesus.sk/

Vert - Accepting Denial

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Emocore, Lost Prophets, Incubus
Dall’area di Wolverhampton (UK), nel 2007 saltò fuori quella che sembrava la new sensation del momento, i Vert. Francamente mi trovo di fronte ad una delle tante band che popolavano il mercato discografico in quel periodo, con il conseguente rischio di saturarlo, a causa della loro proposta musicale non del tutto originale. Il quartetto inglese, accostato più volte dai magazine ad Incubus e Lost Prophets, propina un sound energico e robusto fatto di chitarre non troppo pesanti, ma abbastanza veloci, cariche di una certa attitudine punk, che fanno il bello e il cattivo tempo, lungo le 10 tracce di questo 'Accepting Denial', primo e unico full length per la band britannica (nel 2009 lo scioglimento inevitabile). La voce di Steve Braund oscilla tra momenti malinconici ad urla cariche di rabbia. La musica dei nostri, mai troppo cattiva, anzi piuttosto ruffiana, paga dazio, in diversi pezzi, alle band succitate, come pure in alcuni frangenti sono udibili reminiscenze metalcore. Qui trovate dell’easy music che avrà fatto sicuramente la gioia degli amanti di sonorità nu metal/rock. Egregiamente prodotti ai MCC Studios da Andy Giblin (Slipknot, I-Def-I, Kill 2 This), i Vert non fanno altro che svolgere il loro compitino raggiungendo una stringatissima sufficienza, mixando sonorità catchy a vocals da MTV. Il disco non mi ha mai convinto appieno, però non è neppure da stroncare; mi è rimasta solo la curiosità di sapere dove i nostri potevano andare a parare in una successiva produzione. (Francesco Scarci)

lunedì 29 agosto 2016

Jet Banana - Master is the Enemy

#PER CHI AMA: Power Rock, Stones
Un rapporto piuttosto conflittuale, quello che mi ha visto alle prese con quest’album di debutto dei francesi Jet Banana. Conflitto cominciato dalle scelte grafiche del font e dell’artwork che sono quanto di più vicino possa esserci ad un pugno in un occhio, e continuato poi con le roboanti dichiarazioni della cartella stampa, secondo cui il suono del giovane quartetto sarebbe il risultato di un matrimonio tra il power pop, Stones, Dandy Wharlos, Eagles of Death Metal e AC/DC, da loro ribattezzato in modo alquanto pretenzioso “power rock”. Va dato atto ai Jet Banana di aver fatto le cose per bene, con tanta passione ed evidente spiegamento di forze (sempre più difficile, oggi, trovare un cd che contenga un libretto ciccione con testi e fotografie), per confezionare un lavoro di buon livello. Musicalmente siamo dalle parti di un FM rock molto facile e orecchiabile, discretamente fresco e coinvolgente, che guarda in modo abbastanza fedele ai modelli di riferimento dichiarati, a volte con un approccio un po’ scolastico, altre invece mostrando anche qualche buono spunto. Il problema, quando parliamo di questa musica, è che se non si hanno delle buone canzoni difficilmente ci si potrà far ricordare più di qualche minuto. Ed è qui che devono ancora lavorare sodo, i Jet Banana, sulla profondità e la solidità del loro songwriting, perché è grazie alle belle canzoni che siamo disposti a passare sopra ai riff troppo simili ad altri già sentiti mille volte o a suoni e arrangiamenti un po’ stantii, come delle vecchie giacche dimenticate troppo a lungo nell’armadio, che una volta indossate non sono ancora vintage, ma semplicemente fuori moda. Per ora, quindi, resta un disco sincero e divertente, suonato bene e con una bella energia, ma per lasciare un segno serve qualcosa di più. (Mauro Catena)