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venerdì 17 febbraio 2012

Warbringer - War Without End

#PER CHI AMA: Thrash Old School, Exodus, Testament, Over Kill
La musica estrema segue dei cicli ben precisi: iniziò il thrash, poi il death, il black e ora dopo quasi vent'anni si è ripreso a fare nuovamente thrash metal come negli anni '80. Sinceramente non so se questo sia un fatto positivo, più che altro perchè secondo me è indice di totale mancanza di idee, in un genere per cui è già stato detto tutto. E così i californiani Warbringer con il debut “Guerra Senza Fine”, mi domando che bella figura avrebbe fatto sugli scaffali vent'anni fa, al fianco di “The Legacy” dei Testament, “Under the Influence” degli Over Kill o “Bonded by Blood” degli Exodus, tanto per citarne alcuni. La musica infatti del quintetto di Los Angeles è un concentrato di quelle sonorità che andavano di moda in quei tempi: chitarrone pesanti (stile Over Kill), vocals urlate, coretti alla Anthrax, vetriolici e anacronistici (e questo lo giudico un pregio per questo album) assoli alla Slayer e il gioco è fatto: l'album è praticamente confezionato per quei giovani che, purtroppo per loro, non hanno vissuto i favolosi anni '80. Da segnalare alla fine la classica ghost track da un paio di minuti...(Francesco Scarci)

(Century Media)
Voto: 60

giovedì 16 febbraio 2012

Fading Waves - The Sense of Space

#PER CHI AMA: Post Metal
Ormai dovremo diventare reviewer ufficiali della Slow Burn Records vista la mole di materiale che ci spediscono ogni mese. Ma diciamo grazie invece che esistono ancora etichette coraggiose che cercano nelle cantine marce e buie dell' underground... Questa volta è il turno dei Fading Waves, o meglio, di Fading Waves, visto che è un progetto post-metal solista dalla madre Russia. "The Sense Of Space" è un EP di cinque pezzi che ripercorre il classicismo del post-rock, così com'è nato qualche hanno fa e che qui viene ripreso sia nella struttura che nelle scelte sonore. Elemento che tesse la trama di tutti i pezzi è la chitarra, anche se viene fatto un buon uso di basso e la batteria assolve con merito il suo ruolo ritmico. Dopo la breve intro, passiamo al secondo pezzo "Flashes" dalla struttura scontata negli arpeggi che diventano distorti verso la fine, mantenendo l'armonia costante per tutti i nove minuti. L'utilizzo di delay e reverb è d'obbligo per soddisfare i requisiti post. Per questa traccia è stata chiamata una vocalist dalla voce eterea che si sposa perfettamente con l' atmosfera sfuggente iniziale. "Perforate the Sky" viene invece interpretata dal one man band che sta dietro a questo progetto, dotato di un growl di tutto rispetto, dosato al punto giusto e all'unisono con le esplosioni strumentali. Le classiche pause e i ritorni alle ritmiche lente iniziali completano il quadro "classico", la vera grande pecca di questo album. Se arrivi primo crei un nuovo genere, se arrivi secondo ti sei ispirato, se arrivi terzo hai copiato spudoratamente. Mettiamola così, questo "The Sense Of Space" era una prova generale per mostrare le potenzialità, ora attendiamo il prossimo lavoro. NB: Fading Waves sta cercando vocalist per la prossima sessione in studio di registrazione, quindi se vi avvicinate ai Katatonia e Tesseract come stile e timbro, fatevi avanti! (Michele Montanari)

(Slow Burn Records)
Voto: 65

Acheode - Anxiety

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death
Ognuno di noi, per quanto gli sia possibile, si sforza giorno dopo giorno di essere tranquillo, educato e gentile. Prima o poi però, è inevitabile, bisogna fare i conti con qualche momento di pura incazzatura. Tali momenti possono certo dipendere da noi, ma anche no. In un caso o nell'altro c’è da farsela passare, giusto? E' necessario venirne fuori. Ma come? Fermi lì, tranquilli, non state ad lambiccarvi troppo le meningi, qualcun'altro ci ha già pensato per voi! Non dovrete far altro che ascoltare. Si as-col-ta-re. Si tratta di un modo sicuro, veloce, senza effetti collaterali(?) Da assaporare in qualsivoglia quantità. Una magica valvola di sfogo che potrete aprire in ogni momento, al bisogno. Sto parlando degli Acheode, affiliati del sempre più nutrito esercito Kreative Klan e precisamente del loro full lenght, "Anxiety". Energia allo stato puro, un botto nucleare più potente dello spread che vi scardinerà piacevolmente le membra fino a ribaltarvele tutte ma senza alcun fall-out radioattivo. Fin dal primo istante, credetemi, vi entusiasmerà oppure no, lo capirete oppure no, in un caso o nell'altro, non avrete dubbi. Io ne sono uscito indenne e sicuramente entusiasta, di certo arricchito e pure annichilito. La cover, rivelatrice del concept di questo full lenght, ci propone un vecchio che viene strangolato dal cordone ombelicale di un feto: una sorta di rivalsa della vita sulla morte, quindi. Il sound che le nostre cinque colonne d'Ercole tutte italiane ci propongono è così incazzato che non esiste un adeguato aggettivo per definirne l'aggressività. La cattiveria ci è subito servita a piene mani, senza paura d'imbrattarsene, ma anzi con gioia di farlo, con "Parasitic Gangrene", prima track, e non si cheta se non sul finire dell'ultima song "Anxiety". Colonna vertebrale che sostiene tutto il disco e non lo fa mai cadere nella banalità, è l'estrema velocità con la quale ogni singola traccia viene eseguita. Einstein, che di velocità ne sapeva, nella sua teoria della relatività aveva posto un limite preciso a questo parametro: quella della luce. C'è però da dire, a suo favore, che al tempo, gli Acheode non esistevano. Loro infatti, infrangono questo limite, sfruttano una sorta di NOS relativistico che gli permette di spingersi in una sorta di al di là. La batteria sembra suonata da più di due braccia. Ne servirebbero, a mio parere, almeno quattro: che il batterista sia la reincarnazione di qualche antica divinità induista? Di certo è un Dio, le sue pelli devono derivare dalle pergamene del "Codex gigas" la "Bibbia del diavolo", per non uscire distrutte dopo ogni singolo passaggio. Mi sa che se andassimo a controllare, presso la biblioteca reale di Stoccolma, dove il Codex è gelosamente custodito, scopriremmo dove siano finite le pagine mancanti: nei toms e rullante di Filippo Vanoni. Per le chitarre vale la stessa regola: mi sa che anche stando lì vicino, concentrati, a guardare, non riusciremmo a distinguere colore e forma del plettro dalla velocità alla quale si muove. Resteremmo invece di sicuro imbrattati dal sangue dei polpastrelli che scivolano sui tasti restandone corrosi. Forse siamo di fronte ad un estremo quanto raro caso di polidattilia? Direi che con tre dita in più per mano forse (e dico forse) la cosa è fattibile. Spero infine nella clemenza di Marco De Martino, abilissimo e valido cantante del gruppo. Quando diventerà padre o se magari lo è già, non mi è dato saperlo, che stia bene attento a non usarla per canticchiare ninne nanne per i suoi bambini. L’effetto sarebbe devastante: comincerebbero a scendere le scale come la bambina de "l'Esorcista" e sicuramente parlerebbero l’aramaico. Promotori della fine del mondo, bravi! (Rudi Remelli)

(Kreative Klan Records)
Voto: 80

domenica 12 febbraio 2012

Corporation 187 - Newcomers of Sin

#PER CHI ASCOLTA: Detah/Thrash, At the Gates, Unanimated
La scena svedese non vive solo delle band provenienti da Gotheborg e Stoccolma, ma dalla piccola cittadina di Linköping, ecco riemergere dalle ceneri, gli ormai (dati per dispersi da un po' di tempo) Corporation 187, quintetto dedito ad un classico death/thrash senza compromessi, caratterizzato dalle classiche venature swedish death di At the Gates ed Unanimated. Undici cavalcate abbastanza tirate, all'insegna dell'headbanging sfrenato, con le tipiche ruvide chitarre svedesi a disegnare ritmiche incazzate, ma sempre comunque melodiche e le vocals corrosive del vocalist a ricercare di riprodurre il selvaggio latrato di Mr. Tompa Lindberg; graffianti assoli completano il quadro di “Newcomers of Sin”, che si rivela alla fine un discreto lavoro. Il solo difetto di questa nuova release dell'act scandinavo, è ahimé di essere uscito quasi tredici anni dopo “Slaughter of the Soul” e ciò ne penalizza enormemente la sua valutazione. Per chi è malinconico nei confronti di queste sonorità, un ascolto è per lo meno dovuto, gli altri si vadano a ripescare gli originali. (Francesco Scarci)

(Anticulture)
Voto: 65
 

Hiverna - I. Folklore

#PER CHI AMA: Black Death Folk, Finntroll, Unanimated
Un’orda impazzita di vichinghi canadesi deve aver invaso il mio salotto in quest’ultimo periodo, infatti prima Crepuscule, poi As Autumn Calls ed infine questi indecifrabili Hiverna, sono arrivati a rinverdire la mia conoscenza di una scena, che fino a pochi giorni fa, ritenevo quasi del tutto anonima. E invece, eccomi smentito immediatamente, e con sommo piacere devo dire. Il sestetto del Quebec, che tra l’altro vede militare tra le proprie fila il buon Bardunor, che abbiamo già incontrato nei sopraccitati Crepuscule, propone un black metal dalle tinte folkloristico-sinfoniche. Iniziando ad ascoltare l’album, mi viene subito da pensare che di partiture sinfoniche nel sound dei nostri, ce ne sono davvero poche, per non dire nulle, un ampio respiro viene lasciato invece a simpatici stacchetti dal forte sapore folk, mentre la matrice portante della musica degli Hiverna è affidato ad un black tirato, con frenetici blast beat, un riffing gelido (sarà forse colpa del nome della band che vuole ricordare il freddo inverno e il vento gelido che soffia verso le terre desolate del Canada), coadiuvato da un selvaggio screaming, dove spesso e volentieri fa tuttavia capolino un flauto impazzito. La componente folkish diventa più preponderante man mano che procediamo nell’ascolto di questo “I. Folklore: “Le Fou qui se Croyait Sage”, mostra una progressione a livello degli arrangiamenti che divengono più strutturati, il suono si fa più corposo, pieno e vario nel suo incedere; l’opera destabilizzante del flauto schizoide di Doom, continua imperterrito a mietere vittime. Anche la musica dei nostri cambia vorticosamente ritmo e dal black furioso dell’inizio si passa a melodie più trollish, in pieno stile Finntroll. Ma si sa che con questo genere di band, la burla sta sempre dietro l’angolo, ed ecco che nella quarta “Dans les Profondeurs” a farsi strada ed investirmi è un mix tra death (per le growling vocals) e black (per le chitarre zanzarose), prima che rifacciano la loro comparsa le topiche melodie folk che si intrecciano facilmente con l’aggressività delle ritmiche. Un po’ Jethro Tull, un po’ Skyclad, un po’ Finntroll senza dimenticare il riffing assassino degli Unanimated, nella musica pagana dei nostri convoglia un po’ di tutto, per un risultato che alla fine non delude assolutamente ma anzi riesce nell’intento di soddisfare tutti gli amanti del black metal o forse nessuno… Provare per credere! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 70
 

Septic Mind - The True Call

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Li avevamo lasciati ad inizio 2011, con un monolitico album di soli tre pezzi; li ritroviamo oggi alle prese con altri tre bei pacconi di funeral doom. Si tratta dei russi Septic Mind, fieri portabandiera di un genere che oggi sta vivendo la sua massima espansione, grazie anche ad act ben più famosi. Sarà forse l’immagine di un pianeta alla totale deriva o la percezione di fine del mondo imminente, ma sempre più presa sta avendo questo movimento cosi estremo, in cui la proposta del duo di Tver si inserisce. “The True Call” si apre con la consueta lugubre musicalità dei nostri, che rispetto al precedente “The Beginning”, sembra aver incupito ulteriormente (e di certo non era una missione del tutto scontata) il proprio sound, instillando nella già pesante aria, una ancor più profonda sensazione di morte. La opening, nonché title track, è una specie di marcia funebre, ma che più lenta non si può, che sembra essere influenzata anche da sonorità drone/sludge, per un risultato talmente tanto funesto, ipnotico e quanto mai eccitante, da entusiasmarmi non poco. Una sorta di Ufomammut rallentati (e ce ne vuole) che incontrano il drone dei Sunn O))), in un contesto apocalittico a la Neurosis, ovviamente il tutto rallentato di 100 volte. Sospesi in un infinito buco nero che risucchia pian piano ogni cosa, la mia anima viene inghiottita anch’essa rapidamente dal nefasto destino che ci attende, la morte. Tutto si oscura, il sole si spegne, un gelo galattico avvinghia il nostro insignificante pianeta, estinguendo quasi istantaneamente qualsiasi forma di vita. Ecco il panorama nichilista dipinto dalla musica dei nostri, che con la loro musica oscura e a dir poco opprimente, si pongono un solo unico obiettivo, cancellare l’uomo dal nostro pianeta. E il risultato, totalmente privo di ossigeno, riesce nell’impresa che i nostri si sono prefissati. La band prova anche a cambiare registro nei minuti iniziali di “Doomed to Sin”, con un suono decisamente più sperimentale e meno tetro, ma ammetto di preferirli nella loro veste più tenebrosa ed eccomi accontentato perché i suoni d’oltretomba ritornano per una quindicina di minuti buoni a confortarmi, con una buona dose di ferrea angoscia, sempre coadiuvata dal growling catacombale di Michael Nagiev. Chiude il disco “Planet is Sick”, la song più ammaliante, psichedelica e anche melodica del terzetto, a confermare che il nostro pianeta è malato e a sancire anche l’importante passo in avanti fatto dal duo russo. Magniloquenti! (Francesco Scarci)

(Solitude Productions)
Voto: 80
 

Reido - Minus Eleven

#PER CHI AMA: Sludge/Post Metal
L’esplorazione dell’underground musicale si ferma oggi a Minsk, in Bielorussia, per scoprire pregi e difetti del secondo album dei Reido, dopo il lustro trascorso dal precedente “F:\all”. E in cinque anni si sa, di cose ne cambiano parecchie. Dal funeral doom sporcato da influenze industrial degli esordi infatti, i nostri hanno virato la propria proposta verso lidi più melmosi, con un sound molto più affine allo sludge/post metal. Gli otto minuti di “Violence & Destruction” rappresentano un bel biglietto da visita per configurare la nuova direzione del duo bielorusso: un mid-tempo allucinato che dimenticati appunto gli influssi industrial del debutto, si lancia in ritmiche articolate, ripetitive, senza mai travalicare tuttavia la soglia della violenza. Il nuovo prodotto targato Reido sembra soffrire degli influssi dei Meshuggah, da cui certamente il duo della ex repubblica sovietica, prende in prestito il sound delle chitarre accordate a semitoni bassi, con l’aggiunta e la delezione di note, modificandone i valori, e sostituendoli armonicamente con altre fuori tonalità, in strutture sequenziali subordinate a logiche matematiche. Il risultato che ne deriva è estremamente ritmato, contraddistinto da accattivanti atmosfere create da distorte linee di chitarra, con il growling graffiante di Alexander, ad emulare quello di Jens Kidman, leader dei gods svedesi sopra menzionati. L’attitudine sludge dei nostri, la si può certamente percepire in “The Six-Day War”, la mia song preferita, anche se strumentale (cosi come pure la conclusiva “Flows & Eruption”), provvista di un feeling assai più vivace, spezzato solo da una glaciale atmosfera apocalittica, quella che d’altro canta, ammanta gelidamente questo “Minus Eleven”, ossia i gradi che si registrano in questi rigidi giorni di inverno. Curiosa la scelta di far uscire questo lavoro “-11” in data, 11/11/11, soprattutto quando anche la parola Reido è correlata alla condizione termica, essendo la traslitterazione giapponese di zero assoluto, intesa come la più fredda temperatura possibile. Artici! (Francesco Scarci)

(Slow Burn Records)
Voto: 75

sabato 4 febbraio 2012

Rumors of Gehenna - Ten Hated Degrees

#PER CHI AMA: Thrashcore
Ok, ok, Franz, è vero ho fatto il Godot ma purtroppo sono un istintivo e come tale solo nel momento in cui l’ispirazione si impadronisce di me riattacco a scrivere… Finalmente mi decido e riparto da dove mi ero fermato e cioè all’ascolto dei Rumors of Gehenna. Schiaccio play ed ecco una pioggia di fuoco e fiamme uscire dalle casse, sparata a tutto volume da questi ragazzi friulani. Presi singolarmente, batterista e cantate uber alles, ci sanno fare, veloci, cattivi e cazzutissimi all’inverosimile: riffoni, bei solos, bei suoni, un’ottima produzione, ritmica eccelsa (il batterista è un vero killer) ma le prime quattro tracce sono piuttosto monotone (con la prima traccia, strumentale, sarebbero cinque, ma voglio essere buono) come il resto dell’album nel suo complesso. Per fortuna a risollevare le sorti di questo “Ten Hated Degrees” ci pensano “Human” (la mia favorita) e “My Hourglass Never Fails”, ma a mio modestissimo (e poco tecnico) parere purtroppo rimane poco altro degno di nota. Detto ciò, a chi non ha altro dio al di fuori di un metal fuoco e fiamme, a chi piace svitarsi il collo a furia di headbanging, questa release potrà certamente piacere. Bisogna fare un paio di doverose considerazioni: il genere in questione ha dato e ridato a più non posso e l’album è un po’ datato (2008); sembra però che ci sia una nuova release in cantiere con un nuovo cantante (fonte groovebox.it, notizia di settembre 2011) e i ragazzi sono piuttosto attivi nei live (pagina facebook per i social-utenti). Tutto questo lascia ben sperare che la line-up del combo del nord est riesca, almeno ai miei occhi di censore/recensore, a risollevare le proprie sorti e quelle del genere in questione. (Matteo del Fiacco)

(Worm Hole Death)
Voto: 60

Dark Domination - Rebellion 666

#PER CHI AMA: Swedish Black, Marduk
Magnifico. Un mirabile, fottutissimo esempio perfetto di quello che deve essere il black metal. Non ci sono altre definizioni che posso dare. “Rebellion 666” è un vero monumento e incarna totalmente l’essenza di un genere che non ha genere, un black metal puro di impostazione svedese senza devianza alcuna. Dico ‘svedese’, ed è l’unica precisazione che mi sento in cuore di dare. Sostanzialmente il black svedese si differenzia da quello norvegese per alcuni tratti tipici (ora generalizzo, quindi tratto elementi macroscopici): punta molto sulla violenza musicale e sull’impatto penetrante della registrazione in studio; riguardo le tempistiche è molto più veloce e presenta riff forsennati; concettualmente punta più sugli aspetti estremi del suono e delle liriche piuttosto che affrontare tematiche introspettive e spirituali care allo stile norvegese. Lungi da me definire una linea di demarcazione tra due aspetti della stessa natura. Mi pare comunque giusto specificare la natura intrinseca di questa creatura sonora. Svisceriamola insieme… Pur non spiccando di originalità (non è questo che il black metal delle radici cerca) l’album presenta melodie con una potenza davvero invidiabile e passaggi di scala stilisticamente ineccepibili. La feroce velocità che contraddistingue la maggior parte delle tracce è equilibrata dalla presenza pressoché costante di riff lenti tra una parte e l’altra di ogni canzone. Si fa un uso molto interessante degli intermezzi: sottofondi demoniaci permeano due minuti e trenta tra un traccia e l’altra, conferendo un’aura di enigmaticità non comune per una perla la cui tradizione (black) predispone un range di otto-nove tracce massimo ad album (qui ce ne sono sedici, cioè otto più i corrispettivi intervalli). Elementi di rimando si notano in quei pezzi di chitarra che evocano pericolose atmosfere orientali. Non è difficile leggere tra le righe. D’altronde sono i proprio i Marduk ad aver letteralmente ‘originato’ la variante storica del black svedese. Non mancano poi nemmeno gli aspetti più cupi e morbosi del genere, che contribuiscono a far entrare una band come questa nella leggenda: Frostmourne, uno dei primi componenti, fu trovato impiccato in una foresta l’8 giugno del 2004. (Damiano Benato)

(Evil Distribution)
Voto: 80

http://www.myspace.com/ddomination  

Götterdämmerung - Kin-Burst 9104

#PER CHI AMA: Gothic Rock, Post Punk
Per chi si intende di gothic-rock e nell'ultimo decennio ha potuto seguire le proposte più interessanti che la scena europea ha offerto, il nome di questi tre olandesi non risulterà affatto sconosciuto. Sorti agli inizi degli anni '90 dal movimento gothic ispirato alle sonorità di Sisters of Mercy, Siouxsie e Big Black, i Götterdämmerung hanno prodotto diverso materiale che, nell'arco di dieci anni, ha visto la luce tramite svariate etichette discografiche. Per la precisione, fino a questo lavoro, il gruppo aveva pubblicato due ep, un vinile picture limitato e due full-length album: per alcuni pezzi in particolare, merce rara che oggi si trova nelle mani dei soli collezionisti o dei fan di vecchia data. In aiuto degli appassionati dell'ultima ora giunge invece la label austriaca Strobelight con la pubblicazione di questa bellissima antologia. In più di settanta minuti di musica "Kin-Burst 9104" ripercorre l'intera carriera dei Götterdämmerung, a partire dai loro primi passi negli anni '93-'94 (quando firmarono per la Dion Fortune Records e diedero alle stampe il loro album di debutto "A Body and Birthmark"), fino ad arrivare alle pubblicazioni più recenti, ovvero il secondo album del 2001 "Morphia" e il picture "The Nation had been Flirting with Forms of Götterdämmerung...". Un excursus temporale che prende inizio dalle radici post-punk del gruppo, passando attraverso le sperimentazioni electro/noise di metà carriera, per poi recuperare nuovamente il classico gothic-rock sound degli esordi: seguendo questo itinerario la raccolta esplora in maniera minuziosa le tappe fondamentali della band olandese e ci offre una collezione di brani carichi di un'energia davvero trascinante. Alla selezione estratta dalle uscite ufficiali si aggiungono poi le quattro canzoni inedite "Skincree", "Bodybag 04", "Rogues in a Nation" e "Fortress" (quest'ultima suonata dal vivo nel 1991). Il tutto completamente rimasterizzato, al fine di rendere più omogeneo l'insieme ed esaltare la genuina potenza degli strumenti. In definitiva, non si tratta certo di un'uscita destinata ai soli nostalgici! "Kin-Burst 9104" è piuttosto un'occasione da non farsi sfuggire, per riscoprire un piccolo frammento di storia della musica gothic e sorprendersi ancora una volta della sua immutata bellezza. (Roberto Alba)

(Strobelight Records)
Voto: 80
 

Starchitect - No

#PER CHI AMA: Post Metal, Sludge
Dall'Ucraina con furore direi, visto che gli Starchitect vengono da questo silente paese che pian piano sta emergendo, almeno musicalmente nell'ultimo periodo. Merito della Slow Burn Records che permette a molti gruppi di uscire dall'universo underground. Questo "No" è un' album a tutto Post direi, infatti i nostri affrontano il post-rock e il post-metal con grande naturalezza e una buona dose di freschezza artistica. Infatti oggi come oggi, fare il verso ai pilastri del genere ci vuole poco, ma trovare riff alternativi (qua aiuta la contaminazione prog) e cercare nuove sonorità, è indice del fatto che c'è impegno e voglia di fare un prodotto valido. L'atmosfera dell' album è come al solito sofferente e cupa, come in "Light" che entra con un riff di chitarra quasi leggero e poi il tutto si apre in una buona esplosione strumentale. La voce, growl e scream, imperversa in tutti i pezzi ed è questa peculiarità che appesantisce tutto l'album. "Yeah" a mio avviso è un piccolo capolavoro, il pezzo con la struttura più varia e dai riff meno cupi, che lascia intravedere un riscatto e un ritorno alla luce per questo album dal taglio classico per il genere. Nota interessante il fatto che il batterista sia anche il vocalist, aumentando la difficoltà in sede live ma che dai vari video sparsi nel web, sembra comunque portare avanti con buoni risultati. Posso dire che questo "No" è un ottimo debutto (senza tralasciare il precedente split con i Fading Waves) e se gli Starchitect sapranno disegnarsi un buon percorso, avremo delle belle sorprese per il futuro. (Michele Montanari)

(Slow Burn Records)
Voto: 75
 

Frozen Ocean - Vestigial Existence

#PER CHI AMA: Black Ambient Electro, Burzum
Vi dirò, recensire per primo in Italia la release di una band, mi fa sempre un certo effetto; che si tratti dei Cradle of Filth o degli sconosciuti russi Frozen Ocean, poco importa, anzi trovo molto più eccitante scrivere qualcosa di qualcuno che nessuno conosce. Pertanto per me è quindi un privilegio descrivervi le emozioni suscitate dall’ascolto di “Vestigial Existence”, che rappresenta il primo vero full lenght (datato 2009, ma uscito solo nel 2011) della one man band moscovita, guidata da Vaarwel. Un eco lontano accompagnato da voci spettrali introducono questo cd, come se una nave con ancora i suoi passeggeri a bordo, si stesse inabissando nel mare. Poi, ecco le chitarre e le ruvide vocals di “Winter – Aelean Being” a condurci nell’esplorazione della profonda creatura di ferro ormai immersa nelle tenebre del più profondo degli abissi. Echi dei Burzum più ipnotici emergono forti, oscuri e ossessivi, dalle tracce di questo lp, che pur non proponendo nulla di originale, ha il forte pregio di proporre delle melodie che, pericolose e striscianti, penetrano prima nei nostri anfratti per poi radicarsi ben presto negli angoli più remoti del nostro cervello. Ma è solo il debito di ossigeno e l’accumulo di azoto nel mio sangue e da qui al mio encefalo, a crearmi dei profondi scompensi cerebrali, quando in “Lurker” fa la sua comparsa anche una componente elettronica. Seppur i suoni si presentino ridondanti e ripetitivi, accompagnati dalle solite deboli e timide chitarre, poste addirittura in terzo piano e dalle urla lancinanti di Vaarwel, la musica dei Frozen Ocean, inizia pian piano a salirmi anche dalle vene delle braccia, penetrandomi l’epidermide come un blob mortale. Sarà anche un sound semplice quanto mai banale, che fa della ripetitività di due accordi messi in croce, uniti a dei semplici samples di sintetizzatore, il proprio substrato, quel che conta è che il risultato alla fine sia valido ed in questo l’act russo coglie in pieno il proprio obiettivo. Chiaro, non abbiamo dei mostri di tecnica di fronte, la batteria è affidata al drumming sintetico del programmatore, la maggior parte sono suoni costruiti davanti ad un computer, ma se proprio la volete sapere tutta, non me ne frega nulla, la musica mi piace. Mi piace anche l’intro della malinconica “Steps Above the Silence”, che sembra più un pezzo di black doom nella vena degli ucraini Raventale, tuttavia contaminato da richiami post rock. La produzione è ancora abbastanza scarna e grezza, ma si ci può lavorare sopra: “Soil Pillows” nel suo incedere completamente strumentale ne gioverebbe notevolmente, cosi come pure la successiva “Human Magnet”, la mia song preferita, in cui è ancora la voce del sintetizzatore a sentirsi forte e nella sua totale semplicità, arrivare a toccarmi il cuore con le sue eteree, depressive e sospese melodie. L’underground brulica, pullula di migliaia di band, date loro la voce, date loro una piccola possibilità, ascoltateli solo un momento, non lasciateli inabissare sul fondo di un gelido oceano infinito, da cui non potranno mai più riemergere. Ascoltate quindi anche la voce dei Frozen Ocean! (Francesco Scarci)

(Deleting Soul Records)
Voto: 75