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lunedì 11 luglio 2011

We Made God - It’s Getting Colder

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Neurosis
Eccolo l’album che aspettavo, il classico cd da pelle d’oca, da brividi che percorrono lentamente tutto il corpo, da melodie suadenti che mi spingono all’abbandono onirico più totale; ragazzi vi presento gli islandesi We Made God e il loro “It’s Getting Colder”, prodotto dalla nostrana Avantgarde Music. Inserite l’album nel vostro lettore e non potrete più farne a meno, come è accaduto per il sottoscritto: sarà la cultura estremamente originale dell’Islanda, o forse le nubi vulcaniche che vagano ancora sui cieli dell’isola polare, sarà che da quelle parti provengono Bjork e Sigur Ros, fatto sta che il sound del quartetto nordico, è quanto di più interessante mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi. Il sound è intimistico fin dalla iniziale “The Start is a Finish Line”, grazie a un mix di straziante malinconia dato dal riffing depressive e dal cantato colmo di dolore, del bravo vocalist. Squarci elettrici si scatenano poi nel corso di questo intrigante lavoro, che è certamente figlio della nuova ondata post metal dell’ultimo periodo con alcuni pezzi, oltre alla opening track, che viaggiano sicuramente lungo i binari tracciati dai vari Mogway o Explosions in the Sky, mentre se ne potranno certamente apprezzare altri, dove con le vocals al limite dello screaming, sfociamo in territori più post hardcore o più vicini a band quali Isis o, per l’oscurità delle ritmiche, ai Neurosis. I nostri non si tirano certo indietro quando c’è da pigiare un po’ di più sull’acceleratore, cosi come pure quando c’è da dipingere drammatici, desolanti paesaggi glaciali (ascoltate “Oh Dae-Su”), la band islandese si dimostra davvero brillante e al passo con le sonorità attuali. Bella sorpresa, devo ammetterlo e bel colpo in casa Avantgarde, che si assicura una band dal sicuro avvenire, con le idee ben chiare e che certamente darà del filo da torcere agli ultimi nomi rimasti in sella, dopo la dipartita degli Isis. Se anche voi come me, siete degli amanti sfegatati di distorsioni, atmosfere angosciose, ritmiche cariche di tensione e pregne di emozioni, in cui sonorità stile ultimi Anathema, si fondono con il post (“These Hours, Minutes and Seconds” ne è un esempio), acquistate assolutamente questo disco, e consumatelo fino alla morte. Coinvolgenti! (Francesco Scarci)

(Avantgarde Music)
Voto: 85

Remembrances - Crystal Tears

#PER CHI AMA: Gothic, Rock, Evanescence, Lacuna Coil
Sulla scrivania, accanto al pc, trovo il cd di questa band spagnola, uscita nel 2006. Lo inserisco nel lettore cd, resetto qualsiasi tipo di preconcetto e/o pensiero e lascio che la mente si riempia dei suoni di questa “female fronted band”. Non appena inizia la prima nota, già il mio sesto senso si attiva mettendomi in allerta: ad un primo acchito sembra la brutta copia degli Evanescence e dei Lacuna Coil, ma preferisco non dare troppo peso a questa sensazione e proseguire nell'ascolto. "Silent Night" presenta una base musicale valida, con tanto di tastiere: la voce della cantante è parecchio melensa e adatta per un gruppo di ragazzine finte metal. Tutto il ritmo è talmente leggero e frivolo, da diventare addirittura un po' difficile da digerire. "Wish" tende ad essere un po' più cupa rispetto alla precedente, ma senza mai abbandonare il livello di superficialità dichiarato poche righe sopra. Essendo una band gothic metal, l'ausilio delle keys è massiccio: chitarre elettriche e batteria vanno a braccetto, mentre la voce si fa addirittura lagnosa. Passando a "Crystal Tears", l'unica cosa degna di nota sono degli elementi orchestrali appena accennati, che cercano di dare più profondità a tutto l'album. Di "Blood on the Wall" la cosa che salta più all'orecchio è l'intro di tastiera e la voce deprimente, pesante: il brano in sé è orecchiabile, soprattutto togliendo il cantato. "See the Grief" e "Scars of my Soul" hanno di differente solo la velocità: la prima è più veloce, mentre la seconda tende ad essere molto più malinconica. "Memories" è ancora più tranquilla: per tutta la durata del brano le tastiere e la voce la fanno da padrone; verso la metà si sente anche la batteria, presente fino alla fine (ad un tratto con qualche nota di chitarra elettrica). "Sweet Madness" riprende totalmente le atmosfere di “Scars of my Soul”, come se ne fosse il seguito. "Anguish" all'inizio presenta note più di electro-music, tralasciando il mood gothic: anche l'atmosfera è più viva, scattante, che risveglia dal torpore in cui i brani precedenti avevano creato. Oserei persino dire che è il brano più bello di tutto l'album, con la voce meno lagnosa. "Lagoon" tende più ad avere un'impronta classica: tutto il brano è suonato soltanto dal pianoforte, seguendo un tono allegro andante. Con "Dance of Visions" si arriva alla fine dell'album (e per fortuna!): la cosa più buffa è che questo è uno dei brani con più unghie e che salva il tutto dal prendere un bello 0 (zero) come voto per questo lavoro. Chitarre, batteria e voce diventano tutt'uno, dando un'anima e una spina dorsale all'album. Concludo dicendo che questo è un album solo per ragazzine del tipo pseudo punk/metallare. Augurandomi che la band sforni un album più maturo e decisamente migliore, provvederò a mettere questo cd tra quelli da dimenticatoio. (Samantha Pigozzo)

(Alkemist-Fanatix)
Voto: 40

sabato 9 luglio 2011

Shadowdances - Misery Loves My Company - English

#FOR FANS OF: Gothic, Prog, Dark, Autumnblaze, Riverside
How I love the bands coming from the Baltic countries (Latvia, Lithuania and Estonia), I do not know by what mysterious reason, but their music has always something magical in their notes. The Lithuanians Shadowdances that I am here today to review, are no less than that, with their self-produced work of more than 13 pieces. The music of Joudas (singer and drummer) and his companions, is a mix of dark gothic of fine atmosphere and deep emotions. It is a pity that few people have noticed about this band, that I want to say that it exists since 1994. The Baltic quintet's music can be described by the soft and orange colors of autumn, his mellifluous atmosphere contrasted with those of pacing rocking guitar lines. I like it, I really like the proposal of the Lithuanian combo, because it produces intimate suggestions during its hearing, perhaps because I love to immerse myself in the melancholy music flows and let the power of music to disturb my conscience. And for those who like me who love to indulge in this kind of sound, you will certainly remain a victim of the fascinating sound of the Shadowdances. "The Crawl", "The Girl" and the subsequent “Autumn Haze” are three splendid tracks that recall the early days of the Austrian Autumnblaze, but by adding a touch of poetry, which I repeat only the bands from those places, are able to confer to the music. Elegant, refined music, created and played by excellent musicians: "Misery Loves My Company" is an intense journey into the depths of the human soul, full of despair, anguish and fear. The central part of the CD is even more poignant, with the strong melancholic vocal lines of Judas to dominate the scene and dark environments to make their music sound like rain clouds ready to pour down heavy and endless rain. Desolate, nostalgic and restless, the Shadowdances could represent the perfect combination of Anathema of "Eternity" and the beginning of Riverside. What can I say more for this wonderful album? We only hope that luck will help the brave and here there is a lot of audacity ... (Francesco Scarci - Translation by Sofia Lazani)

(Self) 
Rate: 75

Black Tape for a Blue Girl - Halo Star

#PER CHI AMA: Ambient, Gothic
Un'attività più che ventennale e una discografia comprendente dieci album più un paio di singoli usciti in versione 10" lp e 3" cd (entrambi limitati), un libro accompagnato da un maxi cd e un doppio cd raccolta. Questi, in cifre, i Black Tape for a Blue Girl, creatura di Sam Rosenthal e Lisa Feuer, fondatori anche dell'etichetta Projekt, per la quale hanno pubblicato tutti i loro album. Mentre Sam e Lisa sono rimasti il cardine del progetto lungo tutti questi anni, nel tempo si sono succeduti diversi artisti che hanno partecipato alle registrazioni e hanno fatto parte del gruppo, contribuendo al successo in tutto il mondo di cui oggi godono i Black Tape for a Blue Girl. In questo lavoro Bret Helm ed Elysabeth Grant si alternano alla voce, mentre Michael Laird e Vicki Richards si occupano, rispettivamente, delle percussioni e del violino. Per quanti già conoscono i Black Tape for a Blue Girl, "Halo Star" risulterà molto familiare e musicalmente in linea con la produzione passata, idealmente unita da sonorità eteree molto caratteristiche, che costituiscono quanto di più riconoscibile vi sia nella proposta della band americana, specchio fedele dell'anima di Sam Rosenthal, il quale compone le musiche e scrive tutti i testi; per le liriche di quest'album, ad esempio, sono stati rielaborati alcuni passaggi tratti dal libro di Sam di prossima pubblicazione. Eppure è individuabile qualcosa di diverso rispetto ai lavori precedenti e lo si percepisce immediatamente: mi riferisco ad una maggiore organicità che annulla completamente quel senso di dispersione che talvolta si avvertiva durante l'ascolto delle ultime opere, conseguenza probabilmente di una tendenza a lasciar fluire liberamente il suono dagli strumenti, quasi si trattasse di improvvisazioni. Questo impediva in alcune occasioni alle canzoni di assumere una forma definita che le rendesse memorizzabili. In "Halo Star" si ha l'impressione completamente opposta: il lato "sperimentale" e la vena "estemporanea" sono stati infatti del tutto abbandonati e sostituiti da melodie vocali molto più scorrevoli, da strutture musicali più immediate e leggere, di facile assimilazione; sempre un po' minimali, ma senza perdere il gusto per la melodia e l'introspezione, in maniera più simile a come succedeva nei primi album. Siamo comunque di fronte ad un lavoro molto intimo, che sembra essere inteso per avvicinare l'ascoltatore agli angoli nascosti dell'anima di Sam Rosenthal, ma le riflessioni e le emozioni sono state convogliate in una manciata di brani genuinamente ispirati e sentiti, caratterizzati da una gradevole freschezza creativa. Una raccolta di canzoni che sviluppano in musica pensieri e sentimenti. In particolare trovo molto belli i brani cantati da Elysabeth Grant (come "Your Love is Sweeter than Wine", "Indefinable, Yet", "Damn Swan!" e "Already Forgotten"), estremamente dolci e melodici e dall'atmosfera malinconicamente sognante, che sembrano voler esortare l'ascoltatore alla meditazione, alla riscoperta dei ricordi personali dimenticati, ma sempre con un filo luminoso di speranza che la calda voce di Elysabeth è in grado di infondere. Anche i brani cantati da Bret Helm (quali "Tarnished", "The Gravediggers", "Knock Three Times", "The Fourth Footstep") sono degni di nota: alcuni ricamati su una vellutata tessitura strumentale percussiva che li rende a tratti quasi allegri, altri più ambientali e struggenti, colgono un altro modo di vivere le emozioni. Con i suoi racconti e le sue melodie "Halo Star" ci accompagna delicatamente verso l'autunno. (Laura Dentico)

(Project)
Voto: 80

Deathincarnation - Deny the Lies

#PER CHI AMA: Black (Symph.) Death (Brutal)
Gira e rigira, i paesi dell’ex blocco sovietico, stanno rilasciando un quantitativo industriale di band dalle interessanti prospettive. La band di cui parliamo oggi, nasce in Ucraina, più precisamente a Cherkassy nel 2006, con uno stile che viaggia a cavallo tra il death e il black e, che dopo tre (più o meno) interessanti demo, riesce finalmente nel 2010 ad esordire con il tanto sospirato full lenght. Peccato, che le release russe/ucraine e chissà quant’altre, non possano trovare alcuna forma di diffusione o pubblicizzazione (e aggiungerei fortuna) anche in “Occidente”, se non in circuiti estremamente underground, in quanto sono convinto che ci stiamo perdendo fantastiche realtà, ahimè nascoste nel sottosuolo al di là dell’ex cortina di ferro. Certo, i Deathincarnation non incantano con il loro sound, però “Deny the Lies” è un lavoro onesto, che fa del death metal in primis, la sua arma più pericolosa, con un riffing brutale, talvolta nervoso, condito però da una bella performance a livello solistico dall’ascia e anche vocalist, Slay, e da un mai troppo invasivo lavoro alle tastiere, ad opera della (pare) bella myLady-Victory, il cui ruolo diventa cruciale, in quei frangenti dove c’è da stemperare la brutalità del drumming tonante di Slide; proprio in questi momenti, il sound dei nostri acquisisce qualcosa di interessante che va oltre alla poco originale proposta dei nostri, in quanto l’approccio tipico del death americano fatto di iperveloci blast beat, va a miscelarsi con il black sinfonico dei Dimmu Borgir, come accade palesemente nella sesta “Betrayed by Own God”. Certo poi, i nostri si lasciano andare in sciabordate che massacrano, con il loro incedere rutilante, gli ascoltatori, ma non temete perché là, dietro l’angolo si nasconde la soluzione ai nostri rimedi, il magnifico tocco alle keys di Victoriya, capace in un battibaleno di trasformare una song in pieno Morbid Angel style, in un pezzo che riprende il sound epico dei Nokturnal Mortum, tanto per capirci. È questa loro peculiarità che li solleva dalla massa; pur non essendo mostri in fatto di tecnica, senza proporre nulla di originale, o non godendo di una brillante produzione, la proposta dei Deathincarnation, ha colpito comunque la mia attenzione, portandomi ad interessarmi all’act ucraino. Peccato per la voce, ancora non pienamente decisa se lanciarsi andare in scorribande growl o in uno screaming isterico prettamente black, ma alla fine rischia di essere l'elemento più carente. La traccia omonima, che si apre con maestose tastiere e un riffing non troppo pesante, ma alquanto tagliente, ci consegna un’altra band, quella che ha dimenticato l’approccio ferale iniziale, e ne ha deviato completamente il tiro, verso un black sinfonico intrigante, che sancisce la fine del disco. No, ma che dico. C’è ancora spazio per la traccia dieci, una cover dei Cannibal Corpse, quasi a voler smentire le mie parole di poc’anzi, anche se in realtà si tratta di una inutile song strumentale. A chiudere finalmente il platter ci pensa una vecchissima traccia della band, la blasfema “Jesus is Cunt!”, che vede come guest star alla voce, Alexey Sidorenko e Stanislav Ratnikov, che musicalmente ha ben poco da spartire con quanto ascoltato sin’ora, a causa delle incursioni in campo grind e alle vocals “suine” tipiche del genere; beh ecco io avrei evitato, anche se sul finire della song vengo smentito nuovamente perchè a rivelarci ci sono buone potenzialità e una celata personalità dei nostri; ah, se solo avessero continuato in questo filone. Ci sarà da limare qua e là senza ombra di dubbio, ma i ragazzi sono giovani e di migliorie se ne possono ancora fare parecchie. Vedremo se il tempo gli darà ragione... (Francesco Scarci)

(Nocturnus Records)
Voto: 65

venerdì 8 luglio 2011

Hacride - Deviant Current Signal

#PER CHI AMA: Djent, Techno Death Progressive, Meshuggah, Cynic
Se oggi il djent esiste, non lo si deve solo ai Meshuggah, ma anche ai francesi Hacride, perciò ragazzi fermi tutti, se non avete questo album, tirate fuori i vostri taccuini e annotatevi assolutamente questo titolo. Quelli della Listenable Records, da sempre, vedono lontano e cosi dopo aver scoperto in passato Soilwork, Theory in Practice, Scarve e molti altri, ecco scovare nel proprio paese, anche gli Hacride. Era il 2005 e il combo transalpino, al debutto discografico, poteva essere additato erroneamente, come una clone band dei ben più famosi colleghi svedesi, ma ascoltando “Deviant Current Signal”, rimarrete folgorati anche voi dalla fantasia e della tecnica degli Hacride. Le otto tracce incluse vi coinvolgeranno con soluzioni quanto mai inusuali e innovative per il genere: la base di partenza è chiaramente il thrash/death preso a piene mani dagli insegnamenti dei costantemente citati maestri Meshuggah, con stop’n go, passaggi ipnotici, ritmiche serrate e le urla sempre molto simili al singer della band svedese. Ma poi, quando meno te lo aspetti, ecco uscire il coniglio bianco dal cilindro: in “This place”, la canzone più bella del lotto, troviamo passaggi atmosferici, orientaleggianti e un uso tribale della batteria; un folle sassofono si prende la scena in “Protect”, dove un fantastico basso (ispirato a Steve Di Giorgio) ricama insieme alle chitarre e alla batteria, una ritmica fenomenale. Ottimi assoli, sfuriate death, influenze alternative (alla Strapping Young Lad), ispirazione ai pazzi Mike Patton e Steve Coleman, rendono questo lavoro un ottimo lavoro, da avere assolutamente nella vostra collezione di cd. Un’eccellente produzione completa poi il quadro generale del debut dei francesi Hacride, un nome che presto sarebbe entrato nel firmamento delle grandi band heavy metal con altri 2 fantastici album... Geniali! (Francesco Scarci)

(Listenable Records)
Voto: 85

giovedì 7 luglio 2011

Atra Hora - Lost in the Dephts

#PER CHI AMA: Death Melodico
Scava e scava sempre più in profondità e vedrete che possono venire alla luce pietre preziose o reperti archeologici antichissimi. Alla stregua di un archeologo, in questo periodo mi sono lanciato alla ricerca di quanto più misterioso e oscuro possa rivelare l’underground metallico. Ancora una volta mi spingo quindi verso i lidi inesplorati della Russia, bacino dall’inestimabile valore, con questa uscita targata Darknagar Records, alla ricerca di chissà quale monile o gioiello. Ecco capitare quindi tra le mie mani “Lost in the Dephts”, debut album dei russi Atra Hora, il cui inizio è affidato ad una quasi tribale, anzi direi mediorientale melodia, che quasi mi spinge pensare ad una band in stile Melechesh. In realtà, mai fu cosi sbagliata la mia ipotesi: l’act dell’ex Unione Sovietica infatti, suona death metal di stampo melodico che fin dall’iniziale (e dall’incedere marziale) “Journey to the Chaos” mi ha ricordato i Rotting Christ di “Sleep of the Angels”. “They Go” abbandona le atmosfere soffuse iniziali per lanciarsi in una cavalcata arrembante, in cui trova posto un break centrale di basso, mentre la successiva “Awaking of the Unholy”, traccia, con le sue linee di chitarre, piacevoli melodie, con le roche vocals di Alextos a rendere omaggio alla natura. Ben più brillante è la lunga “War Under the Sign of Baphomet”, che si apre con una parte narrata, per lanciarsi ben presto in vorticosi giri di chitarra, senza tuttavia mai andare a velocità sostenute, ma anzi tracciando sinuose melodie, sulle quali emerge il growling/screaming di Alex, con i toni che sembrano aumentare, sollevarsi e avvinghiarsi come un serpente che si attorciglia attorno ad un albero. La ritmica cresce lentamente, non toccando mai vette inusitate però, per arrestarsi di colpo nel consueto break acustico centrale, e lasciarsi finalmente andare nella cavalcata finale, dove il pizzicare le corde di Yanis, sembra possa rifarsi alla tradizione etnica russa; l’ultima parte è invece lasciata ai tenui tocchi di un pianoforte. La band di Pyatigorsk mi piace parecchio, anche se come capita ormai nel 90% delle recensioni che scrivo, è ormai impossibile poter trovare qualcosa di originale e il terzetto non è certo immune a questo male dilagante; tuttavia non è di cosi fondamentale importanza. “Holocaust” pesca dalla tradizione pagana, per poi lanciarsi in un nuovo attacco, ancora una volta richiamando il primo epico sound dei greci Rotting Christ. Un altro arpeggio nella tradizione mediorientale apre “Requiem for Human Tribe”, poi è un riffing vario, accompagnato costantemente da quei fastidiosi blast beat, a condurci nel regno degli Atra Hora, che fanno dei cambi di tempo repentini, degli intermezzi acustici, delle aperture al limite del progressive (date un ascolto alla lunghissima conclusiva “Voices of the Forgotten Dephts” per farvi un’idea), i loro punti di forza. Non siamo di fronte a dei mostri, né di tecnica, né di personalità, tuttavia sono pienamente convinto che ci possano essere ampi margini di miglioramento. Sorvegliamoli e vediamo dove potranno andare a parare; uno sgrezzamento nel loro impianto sonoro, qualche buona idea piazzata qua e là, l’utilizzo di qualche diabolico orpello e i nostri potrebbero potenzialmente fare il botto. La parola d’ordine rimane però una sola, coraggio! (Francesco Scarci)

(Darknagar Records)
Voto: 70

domenica 3 luglio 2011

Night of Suicide - Desire

#PER CHI AMA: Doom Malinconico, My Dying Bride
Con “Desire” siamo di fronte all’eccellenza. Una perla di magnificenza al di là di ogni comparazione di stile, un’opera musicale di mirabile ispirazione. Ecco ciò che io intendo con vero doom melanconico, a tratti squisitamente romantico (in un romanticismo che non ha nulla a che fare con le relazioni di coppia), con arpeggi e passaggi melodici che rimandano ai maestri anglosassoni My Dying Bride. Gli ingredienti ci sono tutti: quattro tracce, tutte che superano gli undici minuti, voce in growl e tuttavia comprensibile in molte parti, utilizzo di scale armoniche alternate come un botta e risposta tra due chitarre, idealmente a metà tra inferno e paradiso. Eccezionale il contenuto testuale, che sebbene recuperi i modelli tipici della solitudine e del suicidio, li sviluppa in una visione non ridondante e decisamente non statica. Come sempre quando ci si getta nel doom, anche in questo caso mi permetto di sottolineare la necessità di ascoltare l’opera in crescendo per intero. Sono d’altronde gli stessi titoli ad indicare un’evoluzione: “My Thoughts”, “The Answer”, “Desire”, “Final Decision”; paragrafi di una vicenda che termina nella decisione di accettare il proprio destino di suicida (figurato o reale, è comunque suicidio del proprio ego). L’opera comunica dolorosa solitudine, ma non vi è buio accecante. Le note indicano ricerca di un’armonia sonora; le stesse tracce sono divise in più parti, a volte dall’andamento totalmente diverso rispetto l’intro. La melodia di base della prima traccia, soprattutto, tocca l’anima più di ogni altra, ed è ripresa e modificata, non a caso, nell’ultima. Vi posso assicurare che non ve la dimenticherete più. Per quanto riguarda il genere, possiamo considerare “Desire” come melancholic doom, con un growl decisamente meno gutturale del solito e quasi nascosto dietro la patina del sonoro. Ottimo lavoro di registrazione, considerando che si tratta di una collaborazione internazionale. Non ho trovato una pecca che fosse una. È un album perfetto sia a livello musicale che tematico, uno di quegli album che invita alla riflessione, che elimina l’essere materiale per lasciare posto allo spirito. Da ascoltare assolutamente ad occhi chiusi in situazioni di tranquillità per assimilare ogni vibrazione. È musica che genera sensazioni in immagini, che induce trance, “che apre le porte della percezione” (Doors docet)… (Damiano Benato)

(Solitude Productions)
Voto: 90

Benighted in Sodom - Reverse Baptism

#PER CHI AMA: Black Doom
Atmosfere decadenti che inneggiano a temi magico surreali per questo ottimo lavoro dei Benighted in Sodom. Monumento ermetico dall’aura enigmatica che della vacuità del titolo riprende lo stile per dedicare due intere canzoni ad un fantomatico Ocean (ascoltandole attentamente sono sempre più convinto si tratti di una metafora dell’infinito, più che dell’oceano materiale vero e proprio), dalla modica durata di dodici minuti ciascuna. Le conoscenze di un retroterra magico si appagano nella mefistofelica "Flauros", traccia intitolata ad un demone multiforme che i trattati del settore indicano come rappresentante per eccellenza di una potenza incontrollata. Aneddoti riportano anche la scelleratezza di Crowley, che osò invocare la natura di questo demone rimanendo comodamente seduto nel cerchio d’invocazione. Che tutto questo non sia un caso lo testimonia la canzone stessa, unica nel suo genere all’interno dell’album: è la sola traccia ad iniziare con una batteria lanciata a tutta velocità, evidenziando la capacità di una band prevalentemente doom ad affrontare squarci di ballate black. Interessante l’accostamento di voci pulite a screaming, inserite al momento giusto nella fasi di ‘rilascio’ delle tracce per evitare una monotona ripetizione dello stesso tema. Decisamente un ottimo album, che grazie all’equilibrio di andamenti lenti e veloci non stanca l’attenzione del pubblico (ovviamente di nicchia). Mancano tuttavia quegli arpeggi hopeless tipici del doom, motivi firma di un genere slow che fa delle atmosfere ignote il proprio cavallo di battaglia. Manca anche la viscerale violenza del black più puro, poiché altre appaiono essere le ricerche stilistiche dei Benighted. Ho apprezzato particolarmente i suoni di chitarra che si sviluppano in una sorta di trance onnipresente, quasi fossero liquidi. Pur essendo riusciti (loro) nell’intento di creare un’opera degna di questo nome, non sono riuscito (io) a trovare quel piccolo particolare che rende questo gruppo unico nel panorama a cui appartiene. È tuttavia innegabile che sanno quello che fanno. Flauros non lo conoscono in molti. (Damiano Benato)

(BadMoodMan Music)
Voto: 75

Demonia Mundi - In Hoc Signo Vinces

#PER CHI AMA: Black Symph., Graveworm, Stormlord, Mortuary Drape
Era da un bel po’ che non mi capitava di recensire un album di black sinfonico, pensavo anzi che di band dedite a questo genere non ne esistessero ormai quasi più. Fortunatamente mi ritrovo tra le mani qualcosa di diverso dal solito metalcore che recensisco e cosi posso nuovamente rituffarmi in atmosfere ormai abbandonate da tempo. Cinque brani che ci consegnano una band che di gavetta ne ha fatta gran tanta (il combo reggino esiste infatti dal 1996) e che con questo nuovo Mcd autoprodotto, dimostra una più che discreta maturità stilistica che speriamo possa consentire all’act calabrese di raccogliere quei frutti fin qui mai raccolti e poter finalmente firmare un contratto che consentirebbe alla carriera dei cinque demoni di fare un gran bel passo in avanti. Dopo la consueta diabolica intro si parte con la title track, cavalcata dai forti rimandi alla tradizione scandinava (Dissection e Unanimated in testa). Si prosegue con “Malleus Maleficarum” titolo forse troppo inflazionato nella scena metal, ma che comunque scorre feroce e grondante di sangue con l’uso delle keyboards che ricorda vagamente quello dei Graveworm. Un altro pezzo dal titolo in latino è “Daemonia Bolla Summa”, song dalle tematiche accusatorie contro le ingiustizie della Santa Inquisizione, braccio armato della Chiesa Cattolica nel passato: il brano ci mostra ancora una volta l’abilità della band nel fondere furia ancestrale con la melodia del black sinfonico. È solo però con le ultime due tracce che si tocca l’apice compositivo del disco: un concentrato di black epico e pagano dalle forti tinte melodiche dove trovano posto atmosfere evocativo-esoteriche che da sempre contraddistinguono il black italiano da quello del resto d’Europa. Insomma, se siete amanti della furia mistica alla Necromass, unito all’esoterismo di Mortuary Drape, vi piacciono le sinfonie di Stormlord e Graveworm, e siete nostalgici delle melodie che hanno reso grandi gli Emperor di “In the Nightside of Eclipse”, beh un ascolto ai Demonia Mundi lo darei sul serio, magari potreste scoprire anche voi, che il black sinfonico non è morto… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 65

Winter of Life - Mother Madness - English

#FOR FANS OF Death Progressive, Novembre, Oceans of Sadness, Opeth
I must admit I have had great difficulty in reviewing this "Mother Madness" because it is very difficult to find the right words to let you know what it is contained in this little gem produced by the combo originated from Naples. The album opens with the whispers of "Mattutino" song with a strong progressive flavor, which has the quality of immediately putting in evidence the tremendous potential of Elia Daniele on vocals, and generally manages to put on display from the start the excellent quality of the band coming from Campania, the song quickly slips away to make room for "Noumena", which highlights the influence of the sextet and an incredible mix of influences: signs of November in the guitar lines merge into their sound, perhaps because the recording was done at "The Outer Sound Studios "of Giuseppe Orlando; as regards the use of vocals however, I was reminded of the recently broken up Oceans of Sadness. The title track enters in an explosive way into the coffers of my stereo, and then give way to delicate touches of piano and a soothing and melodic rhythm, but very clearly never pander, and then the wonderful voice of Elia, able to use his extensive vocal range, to be in his own way, the best instrument of the Winter of Life: poignant, reflective, aggressive when needed, in short, comprehensive and excellent. And the music? A progressive metal marked by some extreme outburst, but also capable of digressions into jazz territory like on the title track (experiment already done, however, by the aforementioned Belgian Oceans of Sadness). But not only because "witHer" opens with a slap bass, taken on loan from almost any band with the funky vocalist that for a moment seems to make the rapper; but the music does not take long to take off again in a crescendo of emotions, this time thanks to the chasing scintillating guitars, immersed in the warmth of soft environments and also by the guest vocals of Tiziana Palmieri. This album won me over and every time I listen to it (maybe I'll be at the 50th time and I am still not tired), I find intriguing new details that lead me to listen once again. The quality of the Winter of Life lays in suggesting music that in the course of the tracks (all of them of considerable length), is constantly changing tune, alternating trips to neighboring death territories with beautiful riding rhyths, and in times when maybe the resurfaces the strong influence of the Novembre or other act of the progressive scene like Pain of Salvation. The result is a succession of great songs that will soon to creep into your head and make you wince, make you fully enjoy the great ideas that populate the mind of these six boys. What a pleasure listening to this "Mother Madness," what a pity I did only recently. Go on like this, I am waiting now for another confirmation; highly recommended! (Francesco Scarci - Translation by Sofia Lazani)

(Casket Music)
Rate: 85

venerdì 1 luglio 2011

Somnolent - Renaissance Unraveling

#PER CHI AMA: Sludge, Post Metal, Drone
Un nome un programma e se il buon giorno si vede dal mattino, mi dovrei aspettare dai Somnolent un bel funeral doom, cosi come era stato per il loro album di debutto, “Monochromes Philosophy”. Con mia somma sorpresa, constato felicemente che la nuova direzione musicale intrapresa dal quintetto di Odessa è invece uno sludge post metal dalle tinte progressive, che fin dall’iniziale “Exhale!”, riesce a conquistarmi per la varietà dei suoi suoni di chitarre distorte, ritmiche martellanti e growling vocals, abbinata ad una raffinata ricerca di quell’improvvisazione che rese grandi i nostrani Ephel Duath. La conferma di questo nuovo percorso stilistico, arriva anche con la successiva “Emptiness Beyond the Horizon”, che nonostante un’apertura dalle forti sfumature doomish, mi fa ben presto soffermare a riflettere sui suoni psicotici del combo ucraino con un assolo quasi preso in prestito da un certo blues rock anni ‘70. Devo ammetterlo, sono disorientato e lo sarò ancora di più con la terza “Visible World Eraser”, che apre con un bel wah-wah delle chitarre, accompagnate da un flebile basso e da una voce quasi sussurrata (di scuola Isis). Ecco che si sprofonda nella melma del sound fangoso tipico sludge-drone, con un arpeggio ipnotico reiterato, che lascerà ben presto campo aperto alle “grida” profuse da una chitarra impazzita. Otto minuti per una traccia che si muove all’interno di sonorità dal forte sapore onirico e da un intenso flavour seventies. “P.R.O.S.E. (Poem Risen On Somnolence Error)” rappresenta un breve, quanto mai inatteso, frangente hardcore/progressive/jazz (che improbabile trio, vero?) in grado di accompagnarci negli oscuri meandri di “Solipsistic Exfoliation”, song che questa volta fa del drumming il suo elemento portante, con una voce in sottofondo che parla di scienza e teologia, prima dell’esplosione finale dei suoi suoni. Mi piace, “Renaissance Unraveling” mi piace sempre di più, man mano che si spinge in avanti e osa, anche se magari talvolta non riesce a raggiungere i risultati auspicati, come le meno brillanti prove di “Chrysalis Verge” part 1 e 2. Quel che conta però è che la band non si fermi davanti a nulla e che abbia deciso di mettersi completamente in gioco, come se non avesse nulla da perdere e questo è ciò che realmente apprezzo di questi Somnolent, in quanto indice di personalità e carisma. Alla fine non ho ben capito cosa diavolo sto ascoltando o come definire esattamente questa musica, so solo che mi è entrata dentro e lentamente si è impossessata delle mie facoltà cognitive. Peccato solo per la conclusiva “Division of Nihil”, altra song estremamente interessante, dalle atmosfere tenui e pacete, ma che sembra quasi interrompersi di colpo, ponendo fine in modo alquanto affrettato ad un album che mi ha regalato ottimi spunti riflessivi: il post metal è vivo più che mai e sono certo che i confini per questo genere sono ancora estremamente lontani. Promossi a pienissimi voti, brillanti! (Francesco Scarci)

(Slow Burn Records)
Voto: 80

H.o.S. -The Beginning

#PER CHI AMA: Thrash anni '80, Destruction, Sodom, Kreator, Metallica
Certe volte mi chiedo se io abbia inserito un Cd, oppure se sia attivata una macchina del tempo che mi ha sbattuto nel passato. Chi di voi ama il thrash metal tirato? Quello dei primi Metallica o dei Kreator, per capirci. Ecco qui avrà pane per i propri denti o musica per le proprie orecchie, fate voi. Gli altri magari storceranno il naso. Ah, mi sono dimenticato le presentazioni: rimedio. Il nome della band “H.o.S.” dovrebbe essere l’acronimo del titolo della notissima “Harvester of Sorrow” dei Metallica (come sarebbe a dire che non la conoscete? Scherzate vero?), anche se sinceramente non mi pare sia scritto sul loro sito. I ragazzi sono veneti, muovono i primi passi nel 2006 e nel 2007 e 2008 pubblicano due demo. Nel frattempo la line-up si modifica fino a quella attuale: Dado - chitarra e voce; Cetz - chitarra; Pedro - batteria; Millo - basso. Quindi nel 2011 danno alle stampe “The Beginning”.Il disco è una produzione pulita di 35 minuti e 10 song. Dopo la prima, mi colpisce la nostalgia per i tempi passati (o per la trascorsa giovinezza?), andando avanti nell’ascolto torno lucido e mi lascio prendere dalle altre canzoni. Alla fine mi trovo un platter veramente retrò, di un thrash metal direttissimo figlio del trio teutonico (Kreator, Destruction, Sodom) con influenze più leggere della Bay Area. Ecco... va bene essere dei buoni allievi e continuatori fedeli dei canoni del genere, però ci sarebbe qualcosa da aggiustare. Gli assoli di chitarra non mi convincono, la parte compositiva mi lascia a volte perplesso e trovo il cantato un po’ troppo monocorde. Una stroncatura? No, l’ensemble ci picchia dentro più che può, alla fine il risultato è più che positivo. Le loro “mancanze” sono compensate dal loro carattere aggressivo e dalla potenza della batteria. Apprezzabili i cambi di tempo repentini ben fatti e la lunghezza media delle tracce, che non porta al drammatico effetto stanchezza. Considerando una certa reiterazione dei suoni, song più lunghe avrebbero appesantito troppo il loro lavor rendendolo indigesto. Qualcosa che si distacca appena dal mazzo la potete trovare nella finale “We are the H.o.S.”. Una cadenzata dichiarazione di intenti dei nostri, che mi ha colpito più del resto. Bravini questi giovani ragazzi ma, se volessero uscire dall’anonimato, dovrebbero applicarsi sulla tecnica e magari provare a rendere riconoscibili subito i loro lavori. Sempre che ne abbiano il desiderio e la voglia. Io ci spero. Ah, se non lo facessero mi faccio dare gli indirizzi dal buon Franz... (Alberto Merlotti)

(Punishment 18 Records)
Voto: 65