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lunedì 20 giugno 2022

Sólstafir - Köld

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog/Post Metal
Prefiguratevi una chitarra magmatica e assolutizzante che discioglie basso e pelli, un uso a dir poco sfrontato dei piatti. Strumenti e voce conglomerati in una sorta di unisono emozionale. OK? Andiamo. Gettarsi alle spalle le black-ragazzate degli inizi: è tempo di architettare sontuose suite progressive (i saliscendi ritmici ed emotivi di "Köld", la onnicomprensiva "Goddess of the Ages" in chiusura) oppure ipnotiche progessioni post-wave ("78 Days in the Desert" e in sostanza tutto il resto del disco uno). Più prossime ai lavori precedenti invece le cupe rarefazioni doom del disco due: la evocativa, post-gilmouriana "Necrologue", eseguita ad ogni concerto e dedicata a un amico prematuramente scomparso, il neurotico singolo "Love is the Devil (and I'm in Love)", una "World Void of Souls" forse solo eccessivamente lunga ma inaspettatamente Nine Inch Nails nel finale. Ascoltate questo disco mentre cercate di figurarvi i Sólstafir in persona rinchiusi nell'armadio del video di "Close to Me" mentre rotolano giù nella caldera dell'Eyjafjöll. (Alberto Calorosi)
 
(Spikefarm Records - 2009)
Voto: 78

sabato 29 febbraio 2020

Thyrane - Hypnotic

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Thrash
Devo dire di essere rimasto un po' deluso dal 'Hypnotic', terzo album del 2003 dei Thyrane, tuttavia trovo giusto dar loro spazio con questa recensione, dal momento che fin dal primo demo 'Black Harmony', ho seguito con grande interesse l'evoluzione di questi blackster finlandesi. Ricordo che rimasi entusiasta quando anni fa acquistai il loro debutto 'Symphonies of Infernality' (uscito per Woodcut Records nel 1999) e credo che ancora oggi quell'album non abbia perso nulla del suo impatto e della sua potenza, ancor più se paragonato alle uscite particolarmente scadenti che hanno successivamente invaso il mercato del metal estremo. Al tempo non furono certo in molti a riconoscere le qualità del quartetto finlandese, con il risultato che i Thyrane sono rimasti un nome minore ed il rammarico sicuramente c'è, se penso che quanto proposto proprio in 'Symphonies of Infernality', era una formula di symphonic black metal dannatamente valida ed estremamente più convincente di qualsiasi produzione dei Dimmu Borgir. Con il secondo lavoro 'The Spirit of Rebellion' è ancora un sound violento ed incredibilmente efficace a caratterizzare la musica del gruppo, sebbene i brani risultino in questo lavoro orientati maggiormente verso il death metal. È però con 'Hypnotic' che i Thyrane compiono il loro più significativo cambio di rotta, semplificando pesantemente le proprie composizioni e alleggerendone la struttura in maniera forse troppo spinta, tanto da ottenere una collezione di brani innocui e un po' privi di mordente. La voce di Blastmor rimane feroce e le chitarre si concentrano su lenti riff di stampo thrash metal che trovo buoni, ma è l'effetto complessivo che non convince appieno e la sensazione che si ottiene, è quella di ascoltare delle canzoncine semplici che coinvolgono poco. Con 'Hypnotic' anche i Thyrane si fanno sedurre dalle tentazioni elettroniche e questo lo si avverte immediatamente dall'uso dei synth, che forse costituisce il punto di maggior interesse nell'album, per la presenza discreta di gradevoli loop ed orchestrazioni che si ricollegano a quanto fatto anche nei primi due lavori. Grazie a questo taglio moderno, alcuni brani come "Dance in the Air" e "Phantasmal Paranoia" risultano piuttosto indovinati ma il giudizio di 'Hypnotic' rimane quello di un album riuscito a metà, dove la comprensibile e lodevole voglia del cambiamento non è bastata a confezionare un prodotto all'altezza del nome della band. (Roberto Alba)

(Spikefarm Records - 2003)
Voto: 61

https://www.facebook.com/thyraneofficial/

martedì 20 agosto 2019

Moonsorrow - V: Hävitetty

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Epic/Folk, Bathory
Chiudete gli occhi e respirate il gelo dell’aria rarefatta invernale: è il momento di immergerci nelle lande desolate della Finlandia, camminare nei boschi ghiacciati della terra dei mille laghi e iniziare a sognare. Queste sono in breve, le indicazioni e le emozioni che è riuscito a trasmettermi il quinto capitolo dei Moonsorrow. Già a partire dall’intro sognante in pieno stile Agalloch, “Hävitetty” apre alla grande le danze di 'V: Hävitetty'. Due lunghe suite, divise in sei capitoli, per un totale di 56 minuti, mi avvolgono la mente con le loro atmosfere epiche che non possono non richiamare alla memoria 'Hammerheart' o 'Twilight of the Gods' dei mai dimenticati Bathory. Al quintetto lappone mancherà ancora quel pizzico di epicità che contraddistinse, e rese immortali, i due meravigliosi lavori della band di Quorthon, ma ne sono certo, la strada imboccata, già da tempo, è quella giusta. I Moonsorrow sono ormai maestri nel creare suggestive atmosfere epiche, magniloquenti momenti dove ad echeggiare è il fragore delle armi e il suono di battaglie lontane. Ora come ora, credo che siano poche le band in circolazione in questo genere in grado di emozionarci quanto il quintetto finnico che, abile come sempre, impreziosisce ulteriormente il proprio sound, con frangenti malinconici ed estratti del tipico folklore nordico, non disdegnando pure feroci accelerazioni black metal. La musica dei nostri potrebbe essere l’improbabile fusione di Finntroll, Bathory e degli In the Woods degli esordi. Da segnalare infine le ottime orchestrazioni e gli arrangiamenti che suggellano i Moonsorrow come numeri uno in questo campo. (Francesco Scarci)

lunedì 27 agosto 2018

Sólstafir - Masterpiece of Bitterness

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Experimental Black Metal
Nell'ultradinamica e quintessenziale epica "I Myself the Visionary Head" (al termine della quale la band deve essere stata senz'altro frustrata, appagata e sfinita almeno quanto i Pink Floyd al termine di "Echoes") si riassumono i temi della rivoluzionaria (white) diffrazione (black) metal operata definitivamente dalla band islandese. Abbrivio ferino, pestaggio veloce e basso incalzante, vocalismi da plantigrado affamato. Prosieguo elementale. Terra: il drumming concreto e tagliente di Pálmason; acqua: il tumultuoso basso di Svabbi Austmann, bollenti vapori sotterranei, gelide creste ondose che erodono la costa; aria, il guitar riffing nebuloso di Pjuddi Sæþórsson; le lingue di fuoco Addi Tryggvason, sempre meno a suo agio con lo screaming. E poi, la dirompente ma obsoleta chiusura speed/tk-tk-tk. Dall'altra parte, la modulare e consapevole "Ritual of Fire", prossima e lontana da certo teutonic-wave. Le due epiche sono i fuochi nodali da cui scaturirà l'intera successiva produzione della band, senza dimenticare i rigurgiti black/lagunari di "Bloodsoaked Velvet" e l'epic thrash atmosferico (e amplissimo) di "Ghosts of Light" e "Nature Strutter", che completano mirabilmente questo straordinario e prodromico album. (Alberto Calorosi)

(Spikefarm Records - 2005)
Voto: 80

https://www.facebook.com/solstafirice

domenica 20 novembre 2011

Israthoum - Monument of Brimstone

#PER CHI AMA: Black Metal, Dissection, Gorgoroth, Unanimated
Un amico (ciao Beppe!), una volta mi disse scherzando: “Più un gruppo ha un nome illeggibile sulla copertina del cd, più è estremo”. Ecco, non è che io ci creda più di tanto. Per esempio questi Israthoum: guardando il loro criptico logo (c’è di molto peggio però), dovrebbero essere una specie di esseri demoniaci dalle forme distorte, grottesche parodie dell’anatomia umana dediti a una musica sulfurea priva di qualsiasi grazia o melodia. Almeno questo è quello che immaginerei. Sorpresa: un bel disco black metal alla maniera della così detta “second wave”, quella dei Gorgoroth per capirci, con parti melodiche di piano e folk che nell’insieme funzionano. Gli Israthoum sono portoghesi nascono 1992, cambiano diversi nomi, si trasferiscono in Olanda e sono sotto contratto per un’etichetta finlandese. Del loro passato ho trovato poco: qualche demo e un’altro LP. Sembrerebbe che si siano presi il loro tempo per lavorare sul loro sound. Hanno fatto bene, il monumento di zolfo (libera traduzione del titolo del cd) è venuto carino. Non hanno creato nulla di nuovo, è vero, però 45 minuti mefistofelici, aggressivi e non banali ci sono. Otto tracce equilibrate, che danno l’idea che i nostri siano coscienti della loro direzione creativa, senza farsi legare troppo dal passato. Certo, gli elementi che evocano la “seconda ondata” ci sono: furia, riffoni pieni di odio (tipo in "Wearing You"), l’atmosfera luciferina, la voce gutturale reiterata. Ma non si percepisce quella sensazione di scimmiottamento sesquipedale tipica dei gruppi amorfi.Prendete "Soul Funeral", dove si può sentire una certa presenza Black’n roll, e "Fire, Deliverance", dal particolare intro acustico, per farvi un’idea. Trovo un po’ debole la parte ritmica, troppo anonima e forse la produzione è ancora grezza, anche per questo genere.In conclusione un album che piacerà agli amanti del genere, ma che potrà colpire anche chi non lo è. (Alberto Merlotti)

(Spikefarm records)
Voto 75