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Visualizzazione post con etichetta Silent Time Noise Records. Mostra tutti i post
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venerdì 2 dicembre 2011

Sadael - Diary of Loss

#PER CHI AMA: Funeral Doom, My Dying Bride, primi Anathema
Rare volte mi è capitato di trovare un album perfetto per un sottofondo da notti solitarie in riflessione senza dire: “Beh, questa canzone si… Questa no… Questa forse…”. Sono impressioni personali, senza ombra di dubbio, ma quel senso di nera filosofia astrale che mi hanno trasmesso i Sadael (anzi, Sadael e basta, visto che si tratta nuovamente di una one-man band) è qualcosa di cui solo un altro gruppo, i Moonspell di Ribeiro, sono riusciti a instillare nel mio inconscio. Lo consiglio vivamente, questo “Diary of Loss”, ennesima fatica di una terra leggendaria, affascinante e piena di mistica come è l’Armenia. Trovano rifugio in questo calderone di sensazioni sette tracce di saggia poesia, una più evocativa dell’altra. Grande interprete di questo album è l’organo-pianoforte, accompagnato da elementi ambient che aumentano l’atmosfera sulfurea di ogni passaggio di tempo o mutamento di melodia (l’ho chiamato ‘piano-riff’, che sia un neologismo?). Il nichilismo, la solitudine e la chimera di una costante perdita dell’essere abbracciano nenie adombranti amori perduti, odiati o mai trovati, testimoniando in questo caso un avvicinamento alle liriche più gothic che doom. Contaminazione. La adoro. Apprezzerete anche gli assoli di chitarra, puliti e perfetti come solo gli Anathema di “Eternity” o “Alternative 4” sono riusciti a fare. Riguardo la lunghezza (questi viaggi non dovrebbero mai terminare) si spazia dai tre minuti dell’intro ai dieci dell’ultima traccia; azzarderei che tutto è stato calcolato per non pesare eccessivamente sull’ascoltatore. Ve lo consiglio vivamente questo album, anche per gli appassionati di dark-ambient. Prendetevi un’ora libera prima di andare a letto, versatevi un bicchiere di vino (“My Wine in Silence”: My Dying Bride docet) e lasciatevi trasportare da questa vera e concreta opera d’arte musicale. Se poi siete studiosi di occulto non lasciatevi mancare un ascolto attento della terza tappa, “Loss”, una metafora dell’eterno ritorno. (Damiano Benato)

(Silent Time Noise Records)
Voto: 80

www.myspace.com/sadael

sabato 5 novembre 2011

Consummatum Est - Hypnagogia

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Shape of Despair, Pantheist
Ancora Silent Time Noise Records, ancora funeral doom e il binomio continua a funzionare alla perfezione. Fa un po’ specie però che sotto l’etichetta russa ci sia questa volta una band italiana, ancora a dimostrare che nel nostro paese ci sia una grande paura ad investire nelle band underground e che alla fine il nostro prodotto debba essere sempre e comunque sdoganato. A parte le mie solite lamentele nei confronti delle scelte delle label italiane, mi abbandono immediatamente alla disperazione che questa release ha la capacità di infondere sin dalle sue note iniziali. Dicevamo all’inizio del funeral doom e qui, devo ammettere, c’è n’è in quantitativi esagerati, a partire già dalle durate non indifferenti dei quattro brani, che si assestano costantemente sui 12 minuti. Lunghe suite fatte di minacciose e opprimenti melodie, un macigno che grava pesantemente sul mio sterno. “Dolls and Ravens” apre sinistra, con grevi e lentissime ritmiche, un growling profondo (quello di Haemon), controbilanciato dal brillante lavoro ai synth di Vastitas e dalle vocals del soprano Tori. L’incedere è tetro, fangoso, una vera marcia funebre, che prosegue anche con la successiva “Hypnagogic Prospectus”: qui non c’è spazio a dinamiche cavalcate, non c’è un filo di luce nella musica dei Consummatum Est, non c’è alcuna soluzione sorprendente, ma solo tanta e profonda tristezza, enfatizzata mortalmente dalla musicalità solenne dell’organo a celebrare la fine, cosi come ad annunciare la fine arriva la campana a risuonare nel bel mezzo della seconda traccia. Mi ritrovo al terzo brano, l’omonima “Consummatum Est”, e scopro che compare come guest vocal, Greg Chandler degli Esoteric, e che la musica dei nostri, non si discosta poi più di tanto dai dettami dei grandi maestri del genere. Ovviamente, ascoltando “Hypnagogia”, i nomi che vengono alla mente sono sempre gli stessi, con Pantheist ed Shape of Despair in testa, senza dimenticare Evoken o Skepticism, tuttavia il sestetto laziale lascia intravedere anche una propria definita personalità, che si esplica soprattutto nell’utilizzo delle keys e delle voci femminili, alquanto rare in altre band funeral recensite sino ad oggi. La terza traccia è forse quella che preferisco in assoluto, quella che, sebbene più lunga, mi si imprime nel cervello per varietà (da non sottovalutare anche l’inserto folk della conclusiva “Vertebra”), per l’oscuro terrore che è in grado di inocularci, per le sue tenui atmosfere, e quel delicato utilizzo del pianoforte sempre accompagnato dall’angelica voce di Tori che va ad addolcire il growling di Haemon e lo screaming sgraziato di Moerke, tutti elementi che alla fine riescono a coesistere in un’innata armonia di fondo. E tutto ciò rivela il lavoro apprezzabile fatto dalla band, in quanto non è cosi semplice sostenere tempi ultra slow per una quindicina di minuti, senza correre il rischio di sfiancare fino ad annichilire l’ascoltatore e perdere pertanto di interesse. Gli intelligenti arrangiamenti, l’ardua ma azzeccata convivenza tra classicismi e funeral doom, tra momenti di inesplicabile pathos e drammaturgia, insomma i nostri sono riusciti nell’intento di far coesistere tutto questo e se non si è padroni dei propri strumenti o non si ha una certa personalità, vi garantisco che tutto questo non sarebbe possibile. Un plauso va dunque alla proposta degli italianissimi Consummatum Est, rara creatura di musica funebre presente anche nella nostra penisola. (Francesco Scarci)

(Silent Time Noise Records)
Voto: 75

sabato 1 ottobre 2011

1000 Funerals - Butterfly Decadence

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Evoken, Pantheist
L’Iran fortunatamente questa volta non è al centro della nostra attenzione per minacce di guerra, il nucleare o per i moti studenteschi repressi nel sangue, bensì oggi mettiamo a fuoco la situazione del paese per ciò che concerne la musica. È la seconda volta che ci troviamo a recensire una band proveniente dall’antica Persia (in precedenza erano stati i Silent Path), dove leggende vivono e vivranno immortali per sempre. L’Iran è stata terra di immensa cultura e ancor oggi sono convinto viva all’interno del popolo persiano una grande voglia di condividere il proprio patrimonio di conoscenza, cosi come può essere la musica, sebbene sia un qualcosa di molto più piccolo. E allora catapultiamoci a Teheran a conoscere questo due formato da Haamoon ed Emerna e scoprire il loro funeral doom, che la Silent Time Noise Records ha pensato bene di proporci. Logicamente quando si parla di funeral doom, non è certo tra le proposte più semplici da digerire, bisogna avere una predisposizione d’animo ben precisa per affrontare questo genere, sentirsi in sintonia con la band stessa e lasciarsi trasportare dal lento inesorabile flusso di emozioni che questa musica, cosi come poche altre, ha il potere di trasmettere. Pur non essendo un grande amante di tale sound, per l’oggettiva difficoltà ad affrontare certe insormontabili sonorità, non posso far altro che immergermi con estremo piacere nei quattro minuti iniziali dell’eterea “Sutured Lips”, che lascia il posto ai successivi dieci minuti abbondanti di “Of Love Then Deceit” e ai suoi tocchi maledettamente malinconici del suo pianoforte iniziale. Nostalgia, disperazione, angoscia e cupo dolore si abbattono su di noi come la falce della signora morte sulle nostre inutili vite. Infelice, decadente, senza speranza, il sound dei 1000 Funerals fa respirare un’aria mortifera, tra l’altro non alzando mai il baricentro, ma proponendo costantemente melodie soffuse, growling vocals appena percettibili e ritmiche ridondanti, sempre sorrette da un pianoforte che da solo sorregge il 90% di questa seconda fatica del combo iraniano e donando quel quid in più ad un lavoro che forse, ora come ora, si sarebbe perso nei meandri del sottobosco. “Butterfly Decadence” mi piace, e pure molto per la sua semplicità nell’essere cosi oscuro, senza alla fine fare mai male (bellissima e romantica “Nothing Has Ever Been”). Un breve interludio con delle female vocals ci porta all’apocalittica “Vast Infinite Beauty”, la song più pesante del lotto, ma niente paura perché accanto alle grunt vocals, c’è sempre spazio per delicate aperture atmosferiche dal feeling luttuoso. A chiudere questo cd, che di certo farà la gioia degli amanti di Evoken, Pantheist o Mournful Congregation, ecco una cover di un’altra grande band del genere, gli Shape of Despair, che volontariamente avevo escluso: la bellissima strumentale “Night’s Dew” chiude un album di non facile approccio, ma di sicuro piacevole impatto finale. Raccomandati! (Francesco Scarci)

(Silent Time Noise Records)
Voto: 75

sabato 24 settembre 2011

Until My Funerals Began - Behind the Window

#PER CHI AMA: Death, Funeral Doom, My Dying Bride, Saturnus
Della serie “My Dying Bride rules”. Eh si perché, in questo ultimo periodo sono molti i cd passati tra le mie mani che si rifanno alla band inglese. Il secondo album del terzetto ucraino Until My Funerals Began è fra questi, e fin dalle sue note iniziali, quei tocchi di pianoforte della title track, non possono che richiamare le gesta dell’ensemble britannico, guidato dal carismatico Aaron Stainthorpe. A differenza della band d’oltre Manica però, il trio di Donetsk offre sonorità molto più rallentate, tipiche del funeral doom, con una ritmica marziale contraddistinta dall’uso (fastidioso) della sintetica drum machine, con il growling soffocante di Coroner che si alterna a quello più graffiante (e talvolta pulito) del factotum Rumit. Si apprezza tuttavia la dinamicità di un brano monolitico, il che sembrerebbe giustamente un controsenso, tuttavia, nonostante la pesantezza del rifferama, e la lunghezza del brano, alcune soluzioni atmosferiche affidate alle tastiere, alleggeriscono di non poco la proposta dei nostri. Cerco conferme alle mie teorie nei successivi sedici minuti di “Snowflakes”, pezzo dal feeling estremamente malinconico per quell’uso, mai esagerato ma di sicuro impatto, del piano. La voce è pulita, con un qualcosa che richiama i Saturnus dell’EP “For the Loveless Lonely Nights” e una sezione ritmica, mai dirompente, con il basso talvolta sopra le linee a disegnare deprimenti passaggi di un autunno non ancora arrivato in fatto di stagionalità, ma che in realtà riempie tutti i solchi di questo lavoro. Certo affrontare questi cinque pezzi, la cui durata media si attesta sui tredici minuti, non è tra le cose più semplici da fare, tuttavia, mi lascio sedurre dal sound, sempre pregno di tristezza, del combo dell’ex repubblica sovietica. Peccato ancora una volta sottolineare quanto l’utilizzo di un vero batterista, potrebbe dare maggiori benefici ad un lavoro che già di per sé risulta più che soddisfacente, e che alla fine ci regala molteplici spunti di interesse grazie alle sue brumose suggestioni autunnali. A volte mi domando se siano realmente le condizioni climatiche o socio-politiche di determinate nazioni a condizionarne il sound, però devo ammettere che è estremamente curioso notare che la maggior parte delle band dedite a queste sonorità plumbee sia originaria di paesi dell’ex blocco sovietico o della Finlandia. A parte queste considerazioni, anche con “Questions” e le conclusive “Funeral Waltz” e “To the Sun” si fa assai complicato trovare un barlume di luce e positività nelle note di questo disco. Piacevoli sì questi Until My Funerals Began, anche se tuttavia le possibilità di stancarsi di fronte a simil proposta sono piuttosto elevate. Arrivo al termine di questi 64 minuti sfibrato, logorato dall’asfissiante monoliticità del sound del terzetto ucraino, che ha bisogno ancora di levigare qualcosina per potersi offrire ad un pubblico più ampio, per ora invece destinata solo a pochi adepti della scena. (Francesco Scarci)

(Silent Time Noise Records)
Voto: 70

sabato 10 settembre 2011

Ankhagram - Where Are You Now

#PER CHI AMA: Funeral Death Doom, Shape of Despair
Russia, Russia, prepotentemente Russia, a conferma che da quelle parti c’è una scena fiorente più che mai, con una serie di etichette che puntano senza timore su giovani band, molto spesso di grande valore. Ecco arrivare quindi da quelle lande misteriose un “nuovo” (questo è il loro quarto cd) act a sorprendermi, con un sound oscuro, morboso, avvinghiante e malato. Sarà il gelo dell’inverno di Ekaterinburg, ma la one man band guidata da Dead, si conferma molto ispirata nelle 6 lunghe tracce, con un funeral death doom, che ricalca gli insegnamenti di Shape of Despair in testa, ma che poi “sporca” i propri suoni con aperture melodiche quasi shoegaze, a dimostrare l’intelligenza maturata dalla band nei suoi sei anni di esistenza. Tenebrosa la opening track, con i suoi undici minuti spaccati che si chiudono con un lungo assolo di piano, che apre anche la successiva “The Mistress” capace di generare prolungati brividi lungo la mia schiena con quel suo incedere quanto mai suadente, mantenendosi costantemente ancorato alle sonorità estreme solo grazie alla voce growling di Dead. Ho come l’impressione che se solo cambiasse registro vocale, la proposta degli Ankhagram potrebbe aprirsi a masse notevoli di pubblico; questo non sta a significare che la proposta del gruppo russo sia commerciale, ma vi garantisco che non si può non rimanere folgorati dai suoni messi in scena dal buon Dead, capace di coniugare suoni deprimenti ma allo stesso tempo ariosi, freschi, malinconici, emozionanti e potrei aggiungere altri mille aggettivi per cercare di farvi capire che non ci si deve per forza soffermare sull’etichetta funeral o death perché questo è un lavoro di cui mi sento di poter consigliarne un ascolto a tutti, a tutti quelli che hanno voglia di aprire i propri confini mentali, a chi ha voglia di emozionarsi, a chi come me avrebbe il desiderio di abbandonarsi in un sonno senza fine, la cui colonna sonora potrebbe certamente essere quella degli Arkhagram. Quando ancora sono immerso nei fumi inebrianti di “The Mistress”, parte “Trees of Feelings” con i sui dieci minuti e passa di musica per lo più strumentale, come se Dead avesse carpito il mio desiderio di sentirlo meno vomitare in quel microfono, e avesse realizzato che forse un sussurro può essere molto meglio che un growling profondo. La formula non cambia anche con le seguenti “Shade You” e “K.O.D.”, dove le parti atmosferiche costituiscono buona parte dei loro 18 minuti complessivi e dove le tastiere acquisiscono un ruolo di assoluta rilevanza nell’economia dei brani. Citazione conclusiva per l’ultima “Kids”, cover dei (per me sconosciuti) MGMT, ma che comunque ben si amalgama con la proposta degli Ankhagram, band che da oggi in poi inizierò a seguire con estrema dedizione e curiosità, in attesa di scoprire se il prossimo album possa realmente essere quel capolavoro che ipotizzo possa celarsi nella mente di Dead. Meritevoli della vostra attenzione! (Francesco Scarci)

(Silent Time Noise Records) 
Voto: 80