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sabato 18 agosto 2012

Land of Mordor - Still Awake...

#PER CHI AMA: Death/Power Metal
Nel mondo del death metal spagnolo, ho trovato una piacevole sorpresa: si tratta dei Land of Mordor (saranno mica dei fan di Tolkien?), band non più tanto giovane (si è formata nel 2001) che con il loro primo ed unico lavoro, "Still Awake...", ci delizia con il loro album, dall'ascolto molto molto interessante ed entusiasmante. "Still Awake..." si apre con una piacevolissima sinfonia di batteria martellante, chitarre portate all'estremo ed una dolce voce roca e cavernosa, che rende il tutto più piacevole all'ascolto. "Crimson Peace” è un brano pregno della miglior rabbia e in grado di scatenare tra i migliori headbanging: urla, furia, ritmi al cardiopalma sono le parole più corrette per definire questo brano: direi che si comincia alla grande, grazie anche alle atmosfere epiche degne delle opere di Tolkien. “Russia” è già un po' più melodica rispetto alla prima, ma solo all'inizio: dopo poco si torna al ritmo serrato iniziale, sebbene alternato da pause spaesanti e da atmosfere grandiose e fantastiche, in cui la mente non può fare a meno di immaginare le lande desolate della trilogia dell'Anello e intraveda le cariche di numerosi eserciti in marcia: all'attacco cavalieri! Dopo essere stata trasportata (forse anche con troppa enfasi) dal secondo brano, con “Unholy Terror comes” si torna al death più puro, con qualche rimando ai suoni più datati, ma dall'impatto devastante: qualcuno mi tenga ferma, che con i Land of Mordor è difficile stare seduti immobili a scrivere. Sono convinta che dal vivo possano creare un oceano in tempesta. Assoli di chitarra assistiti dalle keys (con tanto di nota modulata) rendono ancora più viva questa traccia, che riesce addirittura a portare l'ascoltatore ad imparare i ritornelli e a cantarli mentre i capelli fendono l'aria. Con “Darklord (the Executioner)” il ritmo si prolunga per altri cinque minuti, mentre la tastiera si prende tutto il palco ed accompagna la chitarra, riuscendo a meraviglia a tenere un ritmo palpabile: la voce di Alex Yuste è sempre cavernicola, il che è un bene (una voce in falsetto avrebbe fatto sbellicare dalle risate). Un pensiero per le femminucce c'è sempre: dopo tutto il death metal non è ascoltato solo dai maschietti. Per questo motivo, in “A Kiss of Hope” troviamo la special guest Elisa C. Martìn. Ma il nome non mi è nuovo... infatti la si trova anche in un'altra band, sempre recensita da me: i francesi Fairyland. La sua voce candida e delicata, associata a quella un po' più brutal, ricorda molto l'accoppiata “bene-male”. L'assolo di pianoforte è l'unico momento di tranquillità che troviamo nell'album: gotevelo finché potete, perché poi penserà Alex Yuste a destarvi dal momento di relax ritagliato. Il brano, però, si chiude con note soavi di pianoforte. L'album si conclude con un'altra versione di “A Kiss of Hope”: più corta (senza l'assolo di pianoforte), per chi magari non ama molto la quiete di questo strumento. In conclusione c'è ben poco da dire, se non di consigliare questo acquisto e di tenere controllata questa band: non vedo l'ora di poter ascoltare il loro nuovo lavoro. (Samantha Pigozzo)

(Alkemist Fanatix)
Voto: 80
 

giovedì 21 luglio 2011

Collateral Damage - Collateral Damage

#PER CHI AMA: Heavy Thrash, Iron Maiden, Judas Priest
Chiudo gli occhi, schiaccio play e mi sembra di essere tornato negli anni ’80, vi giuro. Ho i jeans grigi strappati, il giubbino in jeans senza maniche (ovviamente strappate) e la fascia di spugna sulla fronte. E mi lancio in un selvaggio headbanger per la stanza (intanto, faccio anche un po’ di air guitar). Bravi questi Collateral Damage, ottimi musicisti. Mi piace questo lavoro del quintetto viterbese. Di primo acchito, mi scapperebbe di dire che si rifanno quasi completamente al classic heavy metal, tipo Iron Maiden e Judas Priest, giusto per citarne un paio. Questo il filone dove inserirei il disco, però, dopo un ascolto più attento, in realtà non mancano spunti di altro tipo. Riffoni thrash metal molto anni ’90, un certo qualcosa di selvaggio dell’hair metal e altre influenze sono dietro l’angolo. Prendiamo l’inizio della open track “The Sin Flower”: ecco io ci trovo qualcosa delle atmosfere dei The Cult. Giurerei di sentire all’inizio di “Drunk in Bloody Rain” una citazione musicale, peraltro molto azzeccata, della scena finale del film “Blade Runner” (“Io... ne ho viste cose...” tanto per chiarire). Nulla da dire sulla parte musicale e della produzione: le grandi capacità del combo si sentono davvero benissimo. Apprezzabili in particolare le chitarre, molto ordinate, con accordi e assoli puliti, potenti. Notevole il cantante, tiene molto bene tutto l’album e sciorina un gamma vocale niente male. L’album mostra una certa coerenza nello stile compositivo; le tracce sono tirate come si deve e, sebbene non ci siano grandi innovazioni, non stancano e anzi tutto gira liscio che è un piacere. Non manca (come potrebbe?) la power ballad: in “Light in the Dark Side” si dispiega tutta la capacità melodica del gruppo (notare gli accordi di violino) e non è niente male. Segnalo inoltre la finale “Man of Brain”, molto particolare per il ritmo più veloce rispetto alle precedenti canzoni. Se non si fosse capito, sono rimasto colpito da questo platter. Ascoltatevelo fiduciosi. Bravi, bravi, bravi. (Alberto Merlotti)

(Alkemist Fanatix Europe)
Voto: 80
 

lunedì 11 luglio 2011

Remembrances - Crystal Tears

#PER CHI AMA: Gothic, Rock, Evanescence, Lacuna Coil
Sulla scrivania, accanto al pc, trovo il cd di questa band spagnola, uscita nel 2006. Lo inserisco nel lettore cd, resetto qualsiasi tipo di preconcetto e/o pensiero e lascio che la mente si riempia dei suoni di questa “female fronted band”. Non appena inizia la prima nota, già il mio sesto senso si attiva mettendomi in allerta: ad un primo acchito sembra la brutta copia degli Evanescence e dei Lacuna Coil, ma preferisco non dare troppo peso a questa sensazione e proseguire nell'ascolto. "Silent Night" presenta una base musicale valida, con tanto di tastiere: la voce della cantante è parecchio melensa e adatta per un gruppo di ragazzine finte metal. Tutto il ritmo è talmente leggero e frivolo, da diventare addirittura un po' difficile da digerire. "Wish" tende ad essere un po' più cupa rispetto alla precedente, ma senza mai abbandonare il livello di superficialità dichiarato poche righe sopra. Essendo una band gothic metal, l'ausilio delle keys è massiccio: chitarre elettriche e batteria vanno a braccetto, mentre la voce si fa addirittura lagnosa. Passando a "Crystal Tears", l'unica cosa degna di nota sono degli elementi orchestrali appena accennati, che cercano di dare più profondità a tutto l'album. Di "Blood on the Wall" la cosa che salta più all'orecchio è l'intro di tastiera e la voce deprimente, pesante: il brano in sé è orecchiabile, soprattutto togliendo il cantato. "See the Grief" e "Scars of my Soul" hanno di differente solo la velocità: la prima è più veloce, mentre la seconda tende ad essere molto più malinconica. "Memories" è ancora più tranquilla: per tutta la durata del brano le tastiere e la voce la fanno da padrone; verso la metà si sente anche la batteria, presente fino alla fine (ad un tratto con qualche nota di chitarra elettrica). "Sweet Madness" riprende totalmente le atmosfere di “Scars of my Soul”, come se ne fosse il seguito. "Anguish" all'inizio presenta note più di electro-music, tralasciando il mood gothic: anche l'atmosfera è più viva, scattante, che risveglia dal torpore in cui i brani precedenti avevano creato. Oserei persino dire che è il brano più bello di tutto l'album, con la voce meno lagnosa. "Lagoon" tende più ad avere un'impronta classica: tutto il brano è suonato soltanto dal pianoforte, seguendo un tono allegro andante. Con "Dance of Visions" si arriva alla fine dell'album (e per fortuna!): la cosa più buffa è che questo è uno dei brani con più unghie e che salva il tutto dal prendere un bello 0 (zero) come voto per questo lavoro. Chitarre, batteria e voce diventano tutt'uno, dando un'anima e una spina dorsale all'album. Concludo dicendo che questo è un album solo per ragazzine del tipo pseudo punk/metallare. Augurandomi che la band sforni un album più maturo e decisamente migliore, provvederò a mettere questo cd tra quelli da dimenticatoio. (Samantha Pigozzo)

(Alkemist-Fanatix)
Voto: 40

lunedì 11 aprile 2011

MG66 - In the House of Liv

#PER CHI AMA: Thrash Bay Area, Metallica
Il buon vecchio Franz mi allunga il disco e, tutto convinto, mi dice: “Sono un gruppo thrash, dovrebbero piacerti”. Noto la copertina molto glam rock (a proposito: ho letto critiche negative sull’immagine, a me non pare male...) e penso: “Ma non si sarà sbagliato? Mah...”. Annuisco e me ne vado perplesso. Inforco le cuffie e mi sparo “In the House of Liv”: il buon Franz aveva ragione! Veniamo alle presentazioni: gli MG66 sono un gruppo trentino il cui nome prende origine dalla MG42 (mitragliatrice tedesca della seconda guerra mondiale, ancora in uso in alcuni eserciti, tra cui - ah ricordi di naja - quello italiano) e dalla Route 66 (strafamosa highway americana). Line up: Dee Mitra (Chitarra), Robert Pixx (Voce), Cla Vanza (Batteria), Steve C.H. (Basso) e Davidian (Chitarra). Certo che per essere il primo LP, oltretutto autoprodotto, c’è da rimanere sbalorditi. I nostri han fatto le cose davvero egregiamente, con una produzione impeccabile per dieci tracce che riprendono il thrash più classico, quello Metallica e dei Pantera per capirci. “In the House of Liv” troverete tutti i canoni del genere, ben assemblati ed eseguiti in maniera fedele alla linea. Tuttavia qualcosa di diverso si può sentire in certi brani. Prendete “I Will, I Can” ad esempio, dove si possono scorgere degli innesti provenienti da altri generi davvero azzeccati. In altre canzoni non riescono così bene e non convincono molto, per esempio le parti industrial in “Shut Up”. Finché rimangono nel genere ci sguazzano e si sente, mentre appaiono, per ora, ancora un po’ incerti alle contaminazioni. Però è una strada che gli consiglierei di seguire, in quanto nel complesso funzionano. Ho molto apprezzato il lavoro dei chitarristi, che passano dai canonici riffoni granitici, a parti più lente e melodiche con una naturalezza invidiabile. Mi lascia un po’ dubbioso il cantato, troppo monocorde e troppo debitore a James Hetfield. Niente male il batterista che detta i tempi giusti e picchia con un’altrettanta giusta rabbia. Un solo appunto forse va fatto per quanto riguardo i testi che andrebbero maggiormente curati. Il cd vola via che è un piacere, nonostante le song non siano corte, lasciandomi addosso un certo desiderio di uscire a far bisboccia: niente male. Io, a questi MG66, mi sento già di volergli bene. Hanno il carattere giusto, la passione trasuda e poi l’attenzione a dei suoni puliti è quel tocco in più. Piacevoli! (Alberto Merlotti)

(Self)
Voto: 75

martedì 28 dicembre 2010

Inner Logic - Parallel Reality


Ricevere EP con poche tracce comincia a diventare un' abitudine, quindi affrontiamo anche gli Inner Logic con il loro "Parallel Reality" e le relative 4 canzoni. Bustina di plastica, due fogli volanti come cover ed un artwork abbastanza curato, anche se la qualità di stampa è da quattro in pagella. La forse fresca (non sono molte le infomarzioni rintracciabili sul gruppo da Internet/Ndr) band scozzese attacca con un sound che non nasconde niente, un punk hardcore abbastanza semplice e già sentito per molti frangenti. Sonorità strumentali che a volte richiamano i Lostprophets (cori compresi) e un vocalist che, almeno nel cd, non brilla per la sua versatilità. Per fortuna qualche passaggio risulta azzeccato, come in "Nations Apart", dove trova spazio anche qualche contaminazione metal che viene però subito accantonata. Che le doti strumentali dei musicisti ci siano non abbiamo dubbi, ma questo non fa un buon un buon disco quindi mi ritrovo a dare un voto insufficiente. Questo per stimolare gli Inner Logic a produrre magari un cd completo, cercando di proporre un prodotto di qualità superiore. Si può fare. (Michele Montanari)

(Alkemist Fanatix)
Voto: 55

domenica 3 ottobre 2010

Adimiron - When Reality Wakes Up


Pochi istanti d’ascolto ed eccomi violentemente catapultato nell’ipnotico trip degli Adimiron. Subito mi identifico in uno di quei caduchi angeli ribelli di Pieter Paul Rubens, al seguito dei quali precipitano a catena uomini e donne trascinati sulla via del male. Gli Adimiron sono cinque, sono italiani, sono vincenti. Con “When Reality Wakes Up” giocano la loro partita e la vincono. Nulla da spartire con quegli undici perdenti d’azzurro vestiti. Le vorticose note di “Desperates”, prima track della release e la successiva “Wrong Side of the Town” dal sound potente, tecnico ed aggressivo, mi travolgono, ghermiscono o forse abbracciano. Mi sento sempre più vicino, sempre più solo, sconfitto e perduto, al fondo degli inferi. Si, proprio là dove sta il drago, a cibarsi dei dannati ma senza alcun San Giorgio a dissuaderlo. “Mindoll”, al contrario di una droga, stimola nel mio encefalo la formazione di nuove lisergiche reti neurali cablate dalla successiva “Das Experiment” e cauterizzate definitivamente poi con “Spitfire” (cover dei Prodigy): ormai sempre più vicino al drago, avverto l’odore del suo mefitico fiato. Non convince invece, a mio parere, la scelta della strumentale title track come titolo di questo lavoro: non che sia brutta ma nemmeno da premiare. Una parentesi, a questo punto, se la merita sicuramente anche il packaging: davvero ben curato, esteticamente perfetto, grafica riuscita ed un libretto davvero moderno. Chiusa la parentesi, tornando alle musiche, a chiudere per sempre(?), di sicuro in bellezza, le fauci del drago ci pensa “Flag of Sinners”. Ancora una volta, quindi, vince Giorgio ma stavolta, non con una lancia ma con l’asta di una bandiera. D’altronde questo è un anno di mondiali ed al posto delle trombe ad annunciarci l’apocalisse ci tocca, purtroppo, una schifosissima vuvuzela. (Rudi Remelli)

(Alkemist Fanatix)
voto: 75