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domenica 21 novembre 2010

Abrogation - Sarggeburt


Quarto album per questa band di Magdeburgo che esce a distanza di 4 anni da “1487” e dopo 2 anni di lavorazione (simpatico il video sul sito www.abrogation.de, con immagini dei componenti durante le fasi di registrazione) con il titolo di “Sarggeburt” (Bara di Nascita) che ci fa capire subito, anche dall’immagine in copertina, a che genere di musica stiamo per andare incontro: Medieval Death Metal. Da notare subito che, così come il titolo dell’album, anche tutte le canzoni sono rigorosamente in lingua tedesca, scelta che se da un lato denota una certa caratterizzazione, dall’altra risulta essere alquanto strana per una band con 10 anni d’esperienza, il che può far perdere parte del piacere d’ascolto. La principale caratteristica che rende apprezzabile questo album è comunque la capacità del gruppo nel mettere assieme un ottimo mix che varia in modo originale dal Death Melodico (apprezzabile l’intro con le note di violoncello che introducono in un crescendo al brano d’apertura), all’heavy (anche se in alcuni passaggi si fanno sentire ancora alcune influenze, che ricordano soprattutto gli Iron Maiden). Per quanto riguarda la composizione, punti forti delle tracce sono decisamente gli assoli delle chitarre, puliti e tecnicamente ragguardevoli; peccato invece per la voce, che risulta essere forse troppo piatta e omogenea nell’arco delle 13 canzoni (eccetto la ballata acustica “Hans Eisenbeiss”, dove però il contrasto che si viene a creare lascia decisamente spiazzati). Nota di merito per l’undicesima traccia “Eine furs Feuer” (Uno per il Fuoco), brano che presenta una struttura elaborata e piacevole per l’ascolto, probabilmente la miglior traccia della release. In definitiva, con questa nuova fatica, gli Abrogation sono riusciti a dare alla loro musica un carattere unico, caratteristica che gli permette di meritarsi certamente rispetto. (Alberto De Marchi)

(Self)
voto: 65

Skullshifter - Inner Demons


"Inner Demons" è l'album d'esordio per questo quartetto made in USA che segue di qualche anno l'uscita del loro EP “Here in Hell” (2005). Sfortunatamente non ho la possibilità di fare un paragone con l'EP, in modo da poter verificare la maturazione di questo gruppo, ad ogni modo posso garantire fin da subito che con questo cd vi troverete di fronte ad un efficace e diretto thrash metal. Le tracce, pur mantenendo una certa semplicità, sono energiche e con un buon ritmo, soprattutto per quanto riguarda le chitarre. La voce, anche se non particolarmente melodica, è decisamente aggressiva (forse in modo troppo forzato) e sa trasmettere energia all'ascoltatore, unica pecca risiede forse nella monotonia: qualche cambio di tono avrebbe certamente giovato sul giudizio complessivo. “Inner Demons” si apre benissimo: l'intro del brano iniziale, “Exploiter” è decisamente epica e suggestiva e, anche se in modo forse non troppo perfetto, con un deciso cambio nei suoi riffs ci introduce poi ai toni più thrash oriented che si presentano nei brani successivi. Le chitarre, così come la batteria svolgono un ottimo lavoro sia sul piano della qualità che della velocità, un po' sacrificato invece sembra essere il basso, non si capisce se per scelta stilistica o per difficoltà tecniche da parte di McCaffrey. Ad ogni modo diversi passaggi sono più che godibili e con la traccia nove, “Breaking Point”, raggiungiamo probabilmente l’apice compositivo di questo lavoro, che fa ben sperare nelle potenzialità di questa band. A tal proposito l'unica perplessità risiede nell'età della band, visto che sia Nolz che Scioscia non sono certo dei giovincelli e suonano entrambi da 20 anni: si spera che questo sia un vero e proprio album d'esordio e non soltanto un punto d'arrivo. In definitiva “Inner Demons” è un buon platter per tutti gli appassionati del genere, ma niente di più. (Alberto de Marchi)

(BFD Records)
Voto: 60

sabato 2 ottobre 2010

Divine Lust - The Bitterest Flavour


Quando si mettono assieme Portogallo e Gothic Metal nella stessa frase è impossibile non pensare ai Moonspell e alla magica voce di Fernando Ribeiro e per fare un parallelismo restando in terra lusitana direi che questi Divine Lust stanno ai Moonspell proprio come un buon bicchiere di Porto giovane sta a quello più invecchiato e pregiato: si intravedono tutte le potenzialità per raggiungere il massimo, serve solo ancora un po’ di maturazione. Sia chiaro comunque che il gruppo si guarda bene dal tentare di imitare i propri connazionali, lo stile infatti rimanda di più alle sonorità di gruppi come i My Dying Bride pur mantenendo quei toni più caldi che i paesi latini sanno offrire. Le 11 canzoni dell’album ci guidano quindi in un riuscitissimo e variegato mix di tracce che sapranno accontentare gli ascoltatori più esigenti visto che la band, sfruttando soprattutto la versatilità del vocalist Felipe Gonçalves, è stata in grado di inserire in modo armonico diversi componenti particolari come il violino di Tiago Flores, la voce di Paula Teixeira, la chitarra portoghese di Ricardo Marques e le voci del Coro Gregoriano di Lisbona, per offrire nell’insieme un lavoro assolutamente completo e variegato. A livello di tracce, una nota di merito va certamente a “Duskful of Bliss, Morningful of Misery” che nei suoi quasi 13 minuti non annoia mai, in un continuo crescendo e alternarsi di sonorità diverse: l’apertura malinconica dei tastieristi António (Tó) Capote e João Costa, ci introduce ad un crescendo che sembra incontenibile e che si abbandona un po’ inaspettatamente ad un intermezzo di chitarra acustica e piano che fa da preludio alla furia finale delle chitarre elettriche. Questa canzone, assieme a “The Son that Never Was” sono il miglior esempio della capacità del gruppo di sperimentare e creare qualcosa di innovativo nel genere. In definitiva quindi ci troviamo tra le mani un buon platter per gli amanti del genere ma non solo. Per finire un ultimo commento sul digipack, veramente curato e professionale che non sfigurerà certamente nella vostra collezione. Bravi! (Alberto De Marchi)

(DeadSun Records)
voto: 70

sabato 25 settembre 2010

Time's Forgotten - Dandelion


Bravi! È la prima impressione che rimane subito dopo aver ascoltato il CD autoprodotto da questa giovane band del Costa Rica. “Dandelion” esce a due anni di distanza da “A Relative Moment of Peace”, album d'esordio che ha dato la possibilità a questi sei ragazzi di partecipare a diversi festival Progressive-Rock nel continente sud-americano e di farsi un nome grazie al loro indiscutibile talento. Quello che stupisce sin dal primo ascolto del cd è la capacità innata di combinare assieme tutti gli elementi in un mix sorprendentemente piacevole e omogeneo, in cui nessuna componente risulta sacrificata rispetto alle altre. Partendo dalle tastiere infatti, con un Calvo che oltre a essere il principale compositore dei brani si dimostra anche un ottimo musicista, abile negli assoli tanto quanto nella parte elettronico-digitale, la musica dei nostri scivola via che è un piacere. Le chitarre svolgono un lavoro egregio, gli assoli sono ottimi, non solo dal punto di vista della velocità d'esecuzione ma anche per l'energia che sanno trasmettere così come il basso che fa sentire la sua presenza in ogni traccia. Le voci sono decisamente pulite anche se in alcuni passaggi non sono perfette al 100% (forse troppo “acerbe” in alcuni frangenti). Nota al merito inoltre per la batteria: Jorge Sobrado è decisamente un batterista talentuoso, certo non siamo ai livelli di Portnoy ma comunque ha un'ottima impronta, bravo negli inframmezzi jazz, abile nei passaggi più complessi e dinamici così come nell'utilizzo del doppio pedale. Interessante infine l'intrusione etnica con le parti di flauto di Eduardo Oviedo che si integra molto bene con l'identità dell'album. In definitiva “Dandelion” è un lavoro elaborato e ricco di ottime melodie ricercate; raccomandato non solo agli amanti del genere. Da ricercare assolutamente! (Alberto De Marchi) 

(Self)
Voto: 75

Defamer - Chasm

#PER CHI AMA: Brutal Death, Cannibal Corpse
Album d’esordio totalmente home-made per questi cinque ragazzi australiani provenienti dal Queensland che forse però sono troppo audaci nel voler fare tutto da soli, peccando d’inesperienza. Fin dall’inizio infatti, l’intro “In Umbris” di oltre 2 minuti (un po’ troppi) dei Boyd Potts non si dimostra una felice collaborazione, il pezzo infatti resta slegato al resto della scaletta e risulta essere piuttosto noioso. Seguono poi le canzoni della band, che subito lasciano spiazzati per la somiglianza dei due brani in sequenza “In Winter it Began” e “The Inverse Dominion”. L’album si risolleva a buoni livelli con i pezzi “Black Oscene” e “Of the Chasm” ma si perde poi nuovamente, in un mix di canzoni che tentano di imitare i maestri Cannibal Corpse, senza però mostrare niente di veramente originale: la voce prepotentemente growl risulta infatti monotona e troppo pastosa, mentre i passaggi strumentali, pur dimostrando una certa talentuosità non sono mai innovativi o particolarmente interessanti: la batteria corre veloce, ma non ci sono veri momenti degni di nota, mentre chitarre e basso tentano sia la strada del virtuosismo velocistico sia quella dei riff più lenti, senza però riuscire mai a sorprendere. In definitiva resta un album d’esordio mediocre che non emerge dalla massa; si attende con impazienza una nuova produzione per vedere in che direzione si potrà muovere l’ago della bilancia, sperando che questo primo album dia alla band la possibilità di avere in futuro l’aiuto di una consulenza discografica d’esperienza che potrà certamente giovare sul risultato finale. Trattandosi di un’autoproduzione la nota conclusiva riguarda la qualità del CD: la produzione risulta essere buona per quanto riguarda registrazione e incisione delle tracce, mentre una nota negativa va al booklet ed alla copertina del CD, che risultano essere di scarsa qualità. Da rivedere (Alberto De Marchi)

(Self)
Voto: 50